IL VOTO DI MILANO E LA KOLYMBETRA di Giovanni di Girgenti

Cosa ci manda a dire il voto di Milano a noi meridionali? Tante cose, direi.                        Lo hanno scritto in molti che ha una valenza nazionale perché, come è successo altre volte nel passato, quella città anticipa processi politici e culturali che finiscono con l’investire l’intero paese.
C’è da aspettarsi dunque che il tempo di Berlusconi sia scaduto ovunque.
Detto così potrebbe non significare granché: negli anni passati le regioni meridionali, con l’eccezione della Sicilia, hanno conosciuto guide di centrosinistra, ma, a parte forse la Basilicata, senza grandissimi cambiamenti soprattutto nel rapporto malato  tra ceto politico e società che è rimasto sempre improntato al familismo e al tribalismo.
A me sembra che da Milano possa invece partire un nuovo ciclo politico nel sud che non solo apra alla speranza chi ci abita, ma che  restituisca ai gruppi dirigenti del nord una responsabilità di guida anche delle regioni meridionali.  Speranza e responsabilità, due facce della stessa medaglia.
Il sud da solo non può salvarsi. Per questo il nuovo ciclo deve chiudere la stagione che vedeva il nord avanzato denunciare i limiti del sud ma riservando a sé l’opzione della separazione e dell’allontanamento del contagio piuttosto che il carico di cambiare le cose anche nel  sud.
Il leghismo come abdicazione al ruolo nazionale dei gruppi dirigenti del nord o il berlusconismo come ipotesi di coesistenza del paese a due velocità mediate dal carisma del capo che garantiva al sud i resti della cene del nord, sono stati travolti dall’avanzamento della linea delle palme fino alla Brianza e da un inarrestabile processo di moltiplicazione delle spinte localistiche e centrifughe. E dal prevalere di una visione non più apologetica della  ‘magnifiche sorti e progressive’ affidate al mercato e agli individui con una forte riscoperta del senso della solidarietà, della sobrietà e della gentilezza.
A Milano oggi forse si comincerà a guardare al sud come ad una terra non più  da abbandonare a se stessa ma da ‘rievangelizzare’ alla democrazia e ai gruppi dirigenti del nord forse apparirà di nuovo affascinante uno  spirito millenaristico ( da i Mille garibaldini) che porti ad un rinnovato patto nazionale non sulle diversità cristallizzate, ma su un’idea di cittadinanza condivisa attorno e dentro la quale certamente possano fiorire le mille particolarità.
E chi nel sud aspira al cambiamento nel senso della legalità, dell’autonomia e della solidarietà potrebbe finalmente trovare quella sponda nazionale senza la quale non ci sarebbe che la sconfitta o il sacrificio.
Ad Agrigento qualche anno fa si sono felicemente incontrati la signora Crespi del Fai e un paio di agronomi siciliani. Hanno pensato di recuperare un sito da decenni abbandonato, la Kolymbetra. Hanno trovato la sponda istituzionale giusta, il governo regionale di Capodicasa, col risultato di creare uno dei più belli giardini di Italia oasi di memoria, di bellezza, di sapienza contadina e di redditività.
E se dicessimo che il nuovo patto nazionale ha ad Agrigento il suo cuore antico?
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