CENTRO STORICO DI AGRIGENTO, PARTIRE DALLE PERSONE di Giovanni Taglialavoro

Si è svolto ad Agrigento nei locali del seminario arcivescovile il convegno del Pd 'Salvare la cattedrale, rivitalizzare il centro storico'. Molto partecipato e arricchito da interventi tecnici qualificati. Il quadro che è emerso, relativamente al futuro della cattedrale non è incoraggiante: c'è il rischio concreto di uno scivolamento a valle dell'ala nord del tempio. Come intervenire? Le idee non sono chiare e non è affatto semplice. Unica certezza è che bisogna al più presto intervenire. Intanto la chiesa è chiusa al culto e le celebrazioni pasquali saranno spostate forse nella chiesa di Sant'Alfonso.
Molto ricco il dibattito sul centro storico nel suo complesso. Pubblichiamo l'intervento di Giovanni Taglialavoro

Sono nato da queste parti tra l’altare della cattedrale e il trono del municipio, e c’ho vissuto fino a vent’anni. Quarant’anni dopo ci sono ritornato investendo qui i miei risparmi, ristrutturando una vecchia casa che fu dei miei genitori. Quando vengo ad Agrigento abito qui rinunciando, consapevolmente, alla modernità della casa a mare. Mi sento un po’ come l’Alessi dei Malavoglia che ritorna alla casa del nespolo. Oltre che come cittadino ho dunque titolo per parlare del centro storico nella qualità di chi ci ha vissuto ed è tornato a viverci.

Proprio in questi stessi giorni di aprile, ma del 1787, un grande intellettuale tedesco scrisse che a Girgenti, alloggiato in via Atenea, stava vivendo la più bella primavera della sua vita.  Parlo di Goethe.

Perché non siamo più capaci di creare gli stessi sentimenti nei visitatori di oggi?

La risposta è semplice quanto desolante: perché il nostro centro storico è ormai indicato, almeno dalla frana del 1966,  come l’esempio più chiaro di come il sonno della ragione, di amministratori senza scrupoli e di costruttori senza alcuna idea del bello, possa generare mostri.

Tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta la collina di Girgenti fu massacrata, portando ad estrema espressione una tendenza che era emersa già all’indomani dell’unità di Italia.

Una furia devastatrice volta  a cancellare ogni monumento  di origine medievale e ogni forma urbana che ne ricordasse l’origine.

Distrutta la porta di ponte,  manomessi gli ospedali  dei cavalieri teutonici, chiese abbattute, mura e torri medioevali cancellate, scalinate spianate e poi, in ultimo, una cortina di palazzi insensati che coprono dal mare la terra vecchia e dalla terra vecchia il mare.

Scrisse Martuscelli che ad Agrigento era accaduto qualcosa di mostruoso. Appunto.

Dopo la frana, non potendo più continuare l’aggressione, i gruppi dirigenti decisero di abbandonare il centro storico.

Quello che vediamo oggi è il risultato di quei decenni di aggressione e  di abbandono.

Una legge regionale speciale per Agrigento degli anni settanta fu utilizzata parzialmente per alcuni monumenti ma mai per il tessuto urbano  e mai per le case dei residenti.

Eppure in questi ultimi anni qualcosa si è mosso.

Alcuni privati hanno, con i loro risparmi e senza aiuto alcuno, risanato le loro case magari trasformandole in graziosi B&B o in locali pubblici; alcuni professionisti hanno deciso di provare a vivere nelle vecchie case ristrutturate con amore e gusto. Sono casi ancora limitati ma significativi di una tendenza. Quando le notti  estive dei giovani sono consumate in via Atenea  tra le piazzette attorno a via Atenea vuol dire che è successo qualcosa di importante nel gusto degli Agrigentini.

Poteva essere l’occasione giusta da cogliere da parte dell’amministrazione comunale e dei governanti regionali per assecondare questi fenomeni spontanei con incentivi, facilitazioni, incoraggiamenti, con un piano di interventi molecolare nel decoro delle strade e delle piazze, in modo da determinare una massa di interventi coordinati che portasse a cambiare volto al centro storico mantenendone inalterato il suo profilo urbano e anzi ripristinandolo laddove abbandoni e aggressioni lo avevano insidiato.

Nulla di tutto questo è avvenuto.

Intanto molti edifici non reggono alle insidie della loro vetustà abbandonata. Si moltiplicano i crolli. L’ultimo quello dello Schifano.

Si dice che non ci si può sposare con i fichi secchi e le casse del comune erano state ridotte all’osso. Zambuto ha chiesto una legge speciale, ma non ha avuto sponde favorevoli.

Come intervenire? Da dove cominciare? Con quali  criteri e con quali finalità?

Ci sono alcune cose che si possono fare senza necessità di grandi finanziamenti.

Per esempio mettere un cartello che indichi la cattedrale, la biblioteca Lucchesiana e santa Maria dei Greci in alcuni snodi viari importanti. Provate a immaginare un turista che si trovi in piazza Municipio e che voglia andare a visitare questi luoghi. Non ha alcuna indicazione.

Abbiamo una università: utilizziamo alcuni contenitori importanti quali il collegio dei Filippini e il palazzo Tomasi per ospitare corsi universitari.

Cambierebbe il volto del nostro centro storico, si animerebbe miracolosamente, si avvierebbe un circuito positivo di valorizzazione delle case e delle botteghe che ci sono,  si incentiverebbero iniziative economiche e culturali.

Perché non lo si fa? Chi lo impedisce. Ho letto che si vuole trasformare il vecchio ospedale di via Atenea in ufficio di rappresentanza dell’università e in alloggi universitari.

Perché costruire alloggi quando invece potremmo dare voucher agli studenti fuori sede che ne hanno bisogno per garantire la loro ospitalità nei B&B del centro storico? Risparmieremmo denaro pubblico e favoriremmo la messa in valore delle case esistenti con incrementi di reddito significativi.

Ancora: perché non spostare alcune sezioni del museo regionale di San Nicola in sedi idonee del centro storico in modo da inserire questo luogo nel circuito turistico della valle dei templi?

Sono alcune idee semplici da realizzare con poche spese e che hanno una caratteristica che voglio esplicitare: sono tutte finalizzate a salvaguardare il centro storico mettendo in valore le case e gli edifici oggi esistenti.

Bisogna decidere: se i soldi pubblici debbono spalmarsi a favore degli interessi diffusi o concentrasi a favore di una azienda e di un proprietario di aree. Sono alla conclusione.

Voglio dire qualcosa sul progetto denominato Terra Vecchia di Girgenti. Ho raccolto molte preoccupazioni tra i miei vicini di casa. E’ un progetto importante che potrebbe segnare per decenni il volto e la qualità di vita di questa parte del centro storico, la parte più bella, la parte originaria, quella fondata e strutturata dagli arabi e dai normanni e definita nella sua monumentalità dai baroni agrigentini, dei Montaperto, dei De Mariniis.

Sto parlando per intenderci di quell’area di assoluto pregio che ha ospitato la chiesa della Magione e forse la Meschita ebraica. La parte dove ci sarebbero le fonti dell’acqua amara, la parte dove antichi ipogei greci si incrociano e si sviluppano in più direzioni, la zona dove probabilmente possiamo trovare resti archeologici di notevole importanza.

Ebbene in questa zona un progetto prevede la ristrutturazione di 34 alloggi. Finanziati per metà da soldi pubblici.  

Non si capisce innanzitutto di quali alloggi si parli dato che in quell’area è crollato quasi tutto. Franco Barberi ha dichiarato, fonte Elio Di Bella, che si sente più sicuro in una zona fortemente sismica che nel centro storico di Agrigento. Costruire 34 alloggi in quella zona dà sicurezza o la toglie? Ci sono accessi, slarghi, posteggi adeguati? Esiste una via di fuga?

Siamo sicuri che il problema più importante del nostro centro storico sia quello di costruire nuovi alloggi e non invece di risanare quelli esistenti e già abitati?

E ancora, siamo sicuri che in tal modo si valorizzino le case esistenti e non invece si dia loro il colpo definitivo? La valorizzazione del centro storico passa per un ulteriore riempimento o per alleggerimenti oculati? Tante domande alle quali il dibattito pubblico dovrebbe rispondere prima di modificare radicalmente una zona così fragile e importante. Forse questo dibattito c’è già stato e sono io a non esserne informato. Se così fosse chiedo scusa e andrò a documentarmi. Se invece non c’è stato è bene avviarlo subito.

E’ possibile che la discussione porti ad un generale convincimento della bontà dell’investimento pubblico. Oppure ad un suo ripensamento. Io ho un sogno: che per una volta prevalga un approccio al centro storico amichevole, rispettoso della sua storia e fragilità,  non predatorio come troppe volte è successo nel passato.

Sono certo delle buone intenzioni dell’attuale giunta, del sindaco e dell’assessore Buscaglia della cui amicizia mi onoro. Non abbiate fretta. Valutate anche altri punti di vista, per esempio anche quello di chi propone di utilizzare quell’area come il primo polmone verde del centro storico. Un’area verde attrezzata, magari anche con orti sociali, che offra a chi ci abita uno spazio di incontro e di riposo. Un luogo di gioco dei nostri bambini. Come si pensa di rivitalizzare il centro storico senza adeguati beni comuni? Quando vivevo qui, nel periodo della mia infanzia e della mia adolescenza, nel giro di pochi passi  avevo lo Schifano, scuola religiosa a servizio del quartiere; i salesiani altra scuola, il Granata e lo Zirafa; i campetti di calcio di San Michele e dei salesiani; un cinema ai salesiani, uno a san Libertino e un altro al rabato; un cinema estivo sotto la Camera di Commercio, una decina di osterie. Vari club musicali. Una sezione del PCI a san Vincenzo e un paio della DC.  Potrei continuare.

Oggi non c’è nulla di tutto questo. Bisogna ricominciare, dalle persone non dalle pietre, dagli spazi comuni non dagli interessi di pochi.

C’è una cosa peggiore dell’abbandono: l’intervento aggressivo. Perché con i suoi esiti materiali fa scomparire la speranza che ogni abbandono, anche il più desolante, invece coltiva.

Voglio far crescere mia figlia, che oggi ha un anno e mezzo, qui in continuità con i segni migliori dei nostri padri.

Non vorrei che tra qualche anno vi trovasse gli spazi intasati di macchine e di nuovi palazzi magari collegati con scale mobili a vista come un grande centro commerciale a forma di montagna. Cioè la somma della cattiva arcaicità e della insensata modernità.

Dixi et salvavi animam meam.

 

 

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