NORD e SUD di Alfonso M. Iacono

Il testo che segue  ha introdotto una Tavola Rotonda Immaginaria, scritta per questa occasione da Andrea Camilleri, su sollecitazione mia e di Roberto Scarpa, con protagonisti impossibili, Giuseppe Bandi e Luciano Bianciardi. Giuseppe Bandi, garibaldino, fu il fondatore de Il Telegrafo (oggi Il Tirreno) e Luciano Bianciardi, nato a Gavorrano (GR), scrisse cose molto belle su Garibaldi e i Mille. Lo spettacolo, su iniziativa del Comune di Livorno e della mia Facoltà, si è tenuto alla Goldonetta di Livorno il 25 ottobre 2010 con Alessandro Benvenuti, Roberto Scarpa, Adriano Iurissevich e il chitarrista Luca Morelli. E' stato a mio parere un modo, certo non retorico,  di riflettere sul Risorgimento e sul movimento garibaldino. (A.M.I.)
 
 
Nord e Sud sono punti cardinali, ma rappresentano molto di più. Nord è oggi nel mondo sinonimo di ricchezza, potere, democrazia, libertà. Sud è invece sinonimo di povertà e dispotismo.
Anche Est e Ovest sono punti cardinali, e anch'essi rappresentano storicamente molto di più.
Vi fu un Est dell'Europa. dopo la caduta del muro di Berlino, tutto divenne Ovest. Nessuno l'aveva previsto.
Vi e' un Est del mondo. Esiste da quando esiste l'Ovest. Oriente contro Occidente: da secoli questa contrapposizione ha significato stazionarietà a Est, dinamismo a Ovest. Ma possiamo dire che il Giappone e la Cina di oggi sono società stazionarie? e così pure l'India e molti altri paesi orientali?
Un grande intellettuale, Edward Said, il quale nacque in Palestina, fece le scuole in Egitto e insegnò negli U.S.A. E studiò Vico e Gramsci, scrisse un libro, Orientalismo, dove rilevò come l'Oriente, un concetto che racchiudeva popoli e nazioni dalle culture e dalle storie le più disparate, fu un'invenzione degli occidentali che fondevano in un unico pregiudizievole sguardo molte e assai diverse realtà.
L'idea dell'Oriente può farci capire molto di più i pregiudizi ideologici di noi occidentali che non gli universi degli altri.
Come ha scritto il grande filosofo napoletano Giambattista Vico (e uno degli migliori studiosi del suo pensiero fu un livornese: Nicola Badaloni):
 
Il senso comune è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il gener umano.
 
Il senso comune e' importante. Non potremmo vivere senza sentimenti comuni, ma sarebbe una vita senza speranza quella che si accontentasse del solo senso comune, perché un giudizio senza riflessione è un pregiudizio. E un pregiudizio uccide la critica e nega il cambiamento.
 
Concetti come Est e Ovest, come Nord e Sud rischiano di portare sempre il segno del pregiudizio. Ecco perché, ogni qual volta li evochiamo, dobbiamo ricordare che ai punti cardinali, che indicano dei luoghi geografici, non sempre corrispondono dei luoghi storici.
Quel che per noi sono oggi Nord e Sud, un tempo non lo erano.
Vi è un Sud del mondo e sta lì dove un tempo lontano stava il Nord. I Greci combatterono e sconfissero l'esercito potente di uno stato dominatore, quello dei Persiani, il Nord di quell'epoca; gli Ebrei fuggirono dall'Egitto, liberandosi dalla schiavitù, e a quel tempo il Nord era l'Egitto; i Romani conquistando i popoli del mondo, divennero il centro del mondo, ma a guardare le cose con gli occhi di oggi diremmo che essi erano il Nord.
Volgendo lo sguardo ora a Settentrione ora a Mezzogiorno, scopriamo che quel Nord non e' più oggi proprio Nord, ma non e' neanche Sud.
E', perdonatemi il gioco di parole, il Sud del Nord. Il nostro paese è un Sud del Nord del mondo.
E poi, dentro il nostro paese vi è un Nord e vi è un Sud. Eppure questa divisione geografica non sempre fu rispettata. Quando, all'incirca una cinquantina d'anni fa, in una città del Nord, Torino, si leggeva che non si affittavano case a Veneti e a Siciliani, evidentemente il Veneto stava al Sud accanto alla Sicilia. La geografia politica e culturale talvolta non trova corrispondenza nella geografia fisica.
 
Andrea Sgarallino salvò la bandiera tricolore che oggi fa bella mostra di sé qui a Livorno e si trova stasera dietro le mie spalle. A ben guardarla, eroicamente rattoppata, essa mostra tutti i segni di un'unita' piena di contraddizioni difficili da sanare.
A pensarla al tempo del Risorgimento, essa ci ricorda come l'unificazione del Nord e del Sud, nonostante i sacrifici e gli ideali, non riuscì a segnare del tutto il confine che separa una lotta di liberazione da una conquista da parte di uno stato particolare, o, più precisamente, non riuscì a impedire che una lotta di liberazione si trasformasse alla fine nella conquista da parte dello stato piemontese.
Voglio pensare che le toppe della bandiera di Sgarallino non ci ricordino soltanto i dolori dei combattenti, ma anche le contraddizioni non risolte dell' unità, quelle stesse per cui oggi i nostri pregiudizi tendono a dominare sulle idee che abbiamo del Nord e del Sud, sia del nostro paese sia del mondo.
A vederla con gli occhi di oggi, questa bandiera ci dice che quei dolori e quelle contraddizioni ce li abbiamo ancora tutti addosso, con in più la perdita di memoria, l'assenza di ideali, l'annullamento del desiderio di cambiare il futuro, la frantumazione di ogni senso morale.
Se sono queste le cose che uniscono oggi noi italiani, allora bisogna dire che lo sforzo dei garibaldini fu inutile.
Se invece pensiamo che quei dolori e quelle contraddizioni meritano rispetto e attenzione per far sì che quell'infausto passaggio da una lotta di liberazione al dominio di uno stato faccia il cammino inverso verso un'unità capace di rendere cittadini noi che stiamo tornando a essere sudditi e per giunta, ironia della sorte, in una democrazia, allora lo sforzo dei garibaldini non fu inutile.
 
Quei dolori e quelle contraddizioni trovarono il loro punto di incontro a Teano, dove 150 anni fa, precisamente il 26 ottobre 1860, si chiudeva l'impresa dei Mille e l'Italia era unita. O quasi. Mancavano Roma, lo Stato pontificio, Venezia. Mancava Capua che fu bombardata il 2 novembre. A Garibaldi non piacque quel bombardamento.
 
Scrive Giuseppe Bandi nel suo “I mille. un toscano al fianco di Garibaldi”:
 
non capiva (nota: nel senso latino di “capere”, cioè “non entrava”) nel generoso animo di Garibaldi il pensiero che per una necessità inesorabile di guerra s’avesse a bombardare una città, e specialmente una città italiana, mettendo in risico i poveri abitanti, su’ quali non era ragionevole il far cadere con tanta crudeltà il castigo di peccati altrui.
Vedete, - mi disse – vogliono bombardare a tutti i costi, e io me ne vado via perché non ho cuore di assistere a tanto barbaro spettacolo. nessuno deve aver diritto di chiamarmi bombardatore.
 
Non tutti gli uomini e non tutti gli eserciti si sono comportati e si comportano, ieri come oggi, allo stesso modo.
 
Bandi nel suo libro racconta un episodio molto significativo. Mentre i Mille (che adesso sono diventati molti di più) risalgono l’Italia meridionale per raggiungere Napoli, il reggimento di Bandi raggiunge Pizzo Calabro. Ora a Pizzo era avvenuto un fatto odioso per tutti i garibaldini: vi era infatti stato catturato, con la complicità della popolazione, e poi fucilato Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, comandante tanto coraggioso quanto ingenuo.
I garibaldini videro la statua di Ferdinando I, colui che fece fucilare Murat , e decisero di abbatterla. Ogni movimento rivoluzionario porta con sé una vocazione all'iconoclastia, cioè alla distruzione delle immagini che rappresentano il potere tirannico.
 
Ma ad un tratto, - ci racconta Giuseppe Bandi - una voce gridò:
fermatevi, è una statua modellata da Canova.
il nome di Canova salvò il simulacro del re Ferdinando I.
 
I garibaldini non erano certo delle mammolette, ma quello di Garibaldi era un esercito che amava e rispettava l'arte anche quando essa rappresentava una figura come quella del borbone Ferdinando I, da loro odiato. 
 
L’idea che abbiamo del Risorgimento ha probabilmente bisogno di essere ripensata e l’occasione dei 150 anni non può essere lasciata passare senza tentare di ritornare con rinnovata passione - quella che ebbero i protagonisti come Bandi, ma che ebbero anche quelli che, come Luciano Bianciardi, si dedicarono poi a raccontarlo – alle sue vicende e alle sue, ancora oggi non risolte, contraddizioni.
 
Luciano Bianciardi ha scritto molto sul Risorgimento e su Garibaldi. Quello che emerge, non appena ci si pone a leggere Bandi e Bianciardi è un quadro umano estremamente complesso, contrasti politici, idee diverse e spesso contrastanti, ma soprattutto una grande speranza nella possibilità di unirlo davvero, una volta per tutte, il nostro paese.
 
Emergono tuttavia anche i motivi che resero e rendono ancora difficile questo sentimento di essere davvero una nazione, da Aosta a Lampedusa.
 
Si partì con due battelli, il Piemonte e il Lombardo e poco più di mille volontari, male armati e senza munizioni. Cavour definì folle impresa sfidare un regno (il regno delle Due Sicilie), il più antico e esteso d’Italia, di circa 9 milioni di abitanti in quelle misere condizioni.
Come spiegare allora il successo?Bandi lo attribuisce alle qualità carismatiche di Garibaldi.
Ma Bandi dice anche che Garibaldi volle l'unità d'Italia sotto la monarchia. Nonostante i suoi contrasti con Cavour e la sua antipatia personale nei confronti del gelido statista piemontese, egli non si propose mai per un governo che non fosse monarchico.
A unita' avvenuta il governo liquida di fatto l'esercito garibaldino trasformando una lotta di liberazione in un'azione dello stato che di fatto si appresta ad occupare il meridione. Da qui l'inizio di tutti i problemi irrisolti e di tutte le contraddizioni che ancora ci troviamo di fronte.
Il 18 aprile 1861, alla camera si dibattè del decreto dell'11 aprile che di fatto toglieva di mezzo l'esercito garibaldino. quel giorno, Garibaldi dichiarò:
 “Il ministro della guerra disse, e la camera avrà osservato, che per patriottismo andò nell’Italia centrale a sedare l’anarchia… non c’era nessunissimo pericolo d’anarchia… dovendo parlare dell’armata meridionale, io dovrei anzi tutto narrare dei fatti gloriosi; i prodigi da essa operati furono offuscati solamente quando la fredda e nemica mano di questo ministero faceva sentire i suoi effetti malefici…». .
Ma la Camera, il 20 aprile, con 194 sì, 79 no e 5 astensioni approvò l’ordine del giorno Ricasoli, che chiedeva una giudiziosa applicazione del decreto dell’11 aprile. E' la netta e del resto scontata vittoria di Cavour.
Lo storico Mino Milani commenta così:
“La parte rappresentata da Cavour, ben più spregiudicata e ansiosa di potere, ha avuto ed avrà la meglio su quella inguaribilmente romantica guidata da Garibaldi; che cosa sarebbe accaduto, nel caso contrario, non è evidentemente oggetto di trattazione storica; certo è difficile compiacersi che le cose siano andate come sono andate.
Quello scontro tra Cavour e Garibaldi ha dato il segno di un'unita' del nostro paese troppo carica di contraddizioni ancora oggi irrisolte.
In un mondo svuotato di ideali, in un'epoca dominata dalla perdita di memoria, dove l'affastellarsi delle notizie in tempo reale impedisce quella necessaria distanza che serve per comprendere il nostro presente attraverso il passato, ricordare quell'evento così decisivo per la storia del nostro paese vuole essere soltanto un gesto ammirato verso chi ci ha creduto e comunque ha cambiato le cose, accompagnato da uno sguardo critico senza il quale il futuro non esisterebbe se non come ripetizione e dunque come negazione di sè.
Noi auspichiamo invece che un futuro diverso ci sia e, senza dubbio, un primo necessario passo in tal senso è il ritorno della memoria.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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