AGRIGENTO:DECLINO O NOSTALGIA? di Carmelo Sardo

Passeggio in via Atenea, uno che conosco di vista mi ferma e si congratula per la mia carriera.  Poi mi dice: "meno male che te ne sei andato... qui è finito tutto ". Non è la prima volta che ad Agrigento mi capita di sentirmi dire "qui è finito tutto". Ma finito cosa? Intuisco, certo, ma preferisco farmelo spiegare. Allora gli si accendono gli occhi e quasi s'infervora mentre mi ricorda "un certo periodo irripetibile per Agrigento". Lo fissa tra la fine degli anni '80 e i primi degli anni '90, "quando si stava bene davvero". Mi ricorda "per esempio, il livello che raggiunse all'epoca lo sport agrigentino". Mi ricorda talune edizioni della Sagra del Mandorlo in fiore. E cita gli spettacoli teatrali estivi: le Panatenee, le Feste di Persefone, la settimana Pirandelliana.... Mi ricorda il numero di parlamentari che la nostra provincia mandava a Roma e al governo della regione. E soprattutto mi ricorda Teleacras di allora. E fatalmente mi emoziona e mi invoglia a ripercorrerli con la memoria quegli anni favolosi.
Rivedo il mio week-end di giovane cronista appassionato di sport. Il sabato al "Nicosia" per la partita dell'Impresem di pallavolo femminile in A2. Poi magari restavi sugli spalti perché a seguire c'era la Gymnasium di B di pallacanestro femminile.  L'indomani, domenica, a mezzogiorno ero già in macchina con la troupe televisiva diretti a Licata. Giusto il tempo per un panino e un caffè in un bar del corso, e poi al "Dino Liotta" a sistemare le attrezzature, a prendere le formazioni e a godersi un Licata-Torino, o un Licata-Bari. L'Agrigento invece (non c'era più la gloriosa Akragas !!!) tentava di "risalire la china" (come si leggeva allora sui quotidiani locali, ma qualcuno lo scrive ancora oggi) barcamenandosi in C due: ai tifosi di vecchio stampo sembrava un affronto quella categoria, ma presto sarebbero arrivati tempi ben più duri per il calcio agrigentino. Finito il pomeriggio calcistico, la domenica proseguiva al palasport "Nicosia". E poteva capitarti la pallavolo maschile di A1, per ammirare i più grandi schiacciatori del pianeta (perché giocavano la maggior parte nel nostro campionato) oppure la pallacanestro maschile di B2, livello ottimo, il massimo mai raggiunto a quell'epoca dal basket di casa nostra, tra Agrigento e Porto Empedocle. E quei derby poi ! Spettacolari. Teleacras non lesinava sforzi pur di garantire con i pochi mezzi tecnici a disposizione la migliore visione possibile dell'evento. In diretta spesso, perché  il palasport era stracolmo e molti restavano fuori. Regia mobile, due-tre telecamere anche per le più importanti partite dell'Impresem di pallavolo. Quando la domenica sera andavo in onda a Teleacras con il Vg sport, la scaletta dei servizi non aveva nulla da invidiare a un programma sportivo di caratura nazionale: calcio di serie b, calcio di c, pallavolo di a1 e di a2, basket di b2. Francamente non era poco per una provincia dell'estremo lembo del paese, profondo sud, anzi Suddovest, che oggi arranca ultima nella classifica delle città  più ricche e più vivibili d'Italia. Erano altri tempi. Già.
Oggi le squadre agrigentine più fortunate annaspano in categorie anonime, molte sono fallite, sparite. Qualche bagliore lo regalano Ribera, con una squadra nella massima serie femminile di Basket e Aragona, che lotta per salvarsi nell' A2 di pallavolo donne. Recentemente, divorato da una botta di nostalgia, mi sono fermato allo stadio Esseneto. Il cancello della tribuna centrale era aperto. Sono entrato. Il terreno di gioco sembrava la piuù calzante metafora del triste declino calcistico della città : l'erba quasi sparita, larghe chiazze di terra battuta dove una caduta scortica i ginocchi. La ristrutturazione tanto agognata dell'impianto, lenta negli anni, sembra concepita da ingegneri in una fase delirante della loro esistenza. Credo che l'Esseneto sia l'unico stadio d'Italia con la tribuna stampa fatta al contrario. Fateci caso. Dove vengono sistemate le telecamere per riprendere la partita, altro non doveva essere che il corridoio che portava alle varie postazioni, i cui affacci, anziché  verso il campo, sono rivolti verso l'esterno, verso la strada. 
Uscito dallo stadio,  già che c'ero ho fatto un salto al palasport che è lì a due passi. A rivederlo da fuori sembra un malato incerottato. Dentro, un silenzio assordante. Nonostante fosse un sabato pomeriggio, non una partita, non un allenamento. Deserto. Quelle gradinate vuote mi hanno quasi commosso mentre la memoria correva a ritroso. Forse ha ragione il mio occasionale interlocutore di via Atenea: erano altri tempi! E non solo per lo sport. Erano altri tempi anche nel modo di concepire e di gestire un evento. Prendiamo la sagra del mandorlo in fiore. Nell'infinito dibattito tra chi sosteneva che dovesse restare una festa popolare, squisitamente folcloristica, così come nacque, e chi invece auspicava una svolta che garantisse una visibilità più ampia, e dunque un ritorno di immagine più sostanzioso per Agrigento, il coraggio dell'amministrazione provinciale, guidata allora da Stefano Vivacqua, ruppe gli indugi proponendo nel 1990 un cartellone innovativo che coniugasse folclore ed eventi di rara suggestione e concerti che richiamassero non solo un pubblico più vasto, ma che si assicurassero una copertura giornalistica che travalicasse i meri confini regionali. E così  Agrigento ospitò gli straordinari Indiani d'America guidati da Robbie Robertson: il loro concerto fu un successo senza precedenti che "costrinse" i tg nazionali ad occuparsene. "Canto indiano ad Agrigento" titolò  nella copertina il tg3. Ma con un punta di orgoglio mi permetto di ricordare il titolo con cui la sera del concerto Giovanni Taglialavoro aprì il Vg di Teleacras che dirigeva : "Augh, Mr Robertson". Lo trovai geniale.  Altri tempi, altra sagra, se è vero, come raccontano le cronache locali, che oggi quella che dovrebbe, potrebbe rappresentare un importante volano per il turismo agrigentino, viene organizzata in fretta e in furia a pochi giorni dal via, senza un'adeguata copertura pubblicitaria, recuperando qua e là pochi gruppi folcloristici e "chiamando" solo all'ultimo un cantante  o una band liberi in quel periodo. Perché succede tutto questo? Sembrerebbe semplice capirlo a sentire la spiegazione di chi prova ad organizzare questi eventi: mancano i fondi!!! Girano pochi soldi, e quei pochi finanziamenti stanziati dagli enti governativi sono sempre un terno al lotto: non si sa mai quando e se arrivano. Gli sponsor poi. Altro tasto delicato. Facoltosi imprenditori, grossi commercianti, non sembrano più attratti dall'investimento, come dire? pubblicitario. Provo a ragionarne con il mio occasionale interlocutore di via Atenea e mi fa riflettere su un altro aspetto importante: "quella era l'epoca pre-tangentopoli". Erano dunque ancora gli anni delle tangenti e dei finanziamenti a iosa. Soldi ne circolavano eccome e i lavori pubblici fioccavano. E avere avuto una rappresentanza politica così folta al governo regionale e al parlamento nazionale incideva non poco per garantire una speciale attenzione alla provincia tutta. Del resto, è noto a tutti che le società sportive di quel periodo erano finanziate nella stragrande maggioranza da imprenditori che a suon di assegni sostanziosi si assicuravano le prestazioni di giocatori di serie superiore e di stranieri talentuosi che solo così, pagandoli profumatamente, avrebbero accettato il trasferimento nel sud del sud.  E' storicamente accertato che l'eldorado sportivo agrigentino, e con esso tutto l'indotto, subì una mazzata ferale quando scoppiò tangentopoli. Dal 1992 cominciò l'agonia, più o meno lenta delle società sportive che avevano veicolato lo sport agrigentino ad alti livelli. La battuta più ricorrente che mi capita di ascoltare quando discuto di questo con una certa tipologia di agrigentini è  disarmante: "prima di tangentopoli, è vero, loro rubavano, ma facevano stare bene anche a noi, adesso stiamo tutti male e lustro questa città, cosi come il resto della Sicilia, non se ne vede più". Un'equazione inaccettabile e peraltro smentita nei fatti. Se è vero che Agrigento e la sua provincia non sono state capaci di risollevarsi, come si sostiene da più parti, è altrettanto vero che altre realtà siciliane e altri settori dell'economia, superata la "crisi" hanno ritrovato nuova linfa raggiungendo traguardi di assoluto prestigio che "quando si stava bene" erano impensabili. Pensiamo per un attimo, solo per citare i casi più eclatanti, a Palermo e a Catania che hanno riportato in serie A le loro squadre di calcio. E a una certa imprenditoria: come non citare lo straordinario successo che stanno ottenendo nel mondo i vini siciliani, grazie ad aziende rilanciate dai figli dei figli; o alle innumerevoli attività che spuntano come funghi nel campo turistico: provate su Internet a cercare agriturismi, o Bed & breakfast ad Agrigento, avrete l'imbarazzo della scelta. Ma non sfuggirà che si tratta di iniziative private, fini a se stesse. Quello che manca è una certa progettazione pubblica. Una pianificazione che possa trattenere qualche giorno in più i turisti attratti dalle vestigia della valle dei templi. Offrendo loro un'alternativa stimolante alla visita ai monumenti greci. E non aspettare l'iniziativa isolata, nel cuore dell'estate: qualche concerto di grido, una suggestiva serata nel giardino della Kolimbetra, e poco altro. E' un discorso vecchio che facevamo anche vent'anni fa ai tempi di Teleacras. Mille dibattiti, mille inchieste e servizi, per capire come far decollare una città cosiddetta "a vocazione turistica".  Se ragionare attorno a questi temi è un esercizio ancora attualissimo vuol dire che nulla è cambiato, o che c'è ancora molto da fare. O come dicono molti "si stava meglio quando si stava peggio". Ma è tutto da dimostrare che quell'epoca fosse peggiore. Comunque sia, c'è chi continuerà a vedere il bicchiere mezzo vuoto e chi mezzo pieno. Per quanto mi riguarda, inciderà anche la nostalgia, che fatalmente avviluppa chi come me ha vissuto quegli anni in prima linea, seppur dietro le telecamere e davanti ai microfoni di "quella" Teleacras, fatto sta che quando ripercorro quel tempo, quando lo ricordiamo con gli amici , i colleghi di una vita, quelli che hanno fatto la storia di Teleacras, alcuni dei quali, come me, benedetto destino complice, vivono a Roma, beh, non ci resta che spiegarlo dal nostro osservatorio come un piccolo miracolo. Già, forse irripetibile. 

Carmelo Sardo 

 

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