L'OSPEDALE COME METAFORA DI UN'ETICA CIVILE DEPOTENZIATA di Rosario Pace
Mi pare che Giovanni abbia centrato la radice della questione, ossia il concetto di "normalità" proprio della società agrigentina. Vivo ormai da molti anni lontano da Agrigento, ma ciò non mi permette, moralmente, di disinteressarmi di essa e di non sentirmi anch’io componente della sua umanità, con tutti i pregi ed i difetti connessi: non mi tiro fuori.
Tuttavia, come consueto in questi casi, l’analisi da lontano della città mi consente di cogliere aspetti, connotazioni e distorsioni che difficilmente si possono riconoscere e distinguere da vicino. E' un po' come la visione di un oggetto: più ci si allontana da esso, migliore diventa la comprensione del generale, che agevola la lettura del particolare.
Il quadro che ne emerge è quantomeno surreale. La società agrigentina sta vivendo, da decenni, un lento terremoto civile, che ha minato le fondamenta morali dei suoi abitanti, rendendole indifferenti a qualsiasi bruttura, stortura o sopruso, pubblico o privato.
L'aspetto che, tuttavia, spiazza e lascia profondamente sgomenti è la modalità con cui tale indifferenza si atteggia. La rabbia scomposta, spesso manifestata in occasioni eclatanti, come quella relativa allo sbriciolamento dell'ospedale, puntualmente cade nel nulla, ed in pochi giorni l'ennesimo scempio entra a far parte di quella "normalità", da te correttamente raffigurata.
Acqua, ospedale, immondizia, strade dissestate, abusivismo, mare inquinato, rigassificatori, assenza di opere pubbliche, ma anche risse quotidiane, clientelarismo, dilettantismo istituzionale, sono tutte conseguenze, non cause, della marginalità culturale e civile della società agrigentina e della sua doppia morale, che ne è sostanza. La madre di tutti i mali di questa città mi pare che si possa ricondurre in questo salto etico che connota la maggioranza degli agrigentini e sul quale occorrerebbe aprire realmente un dibattito, per capire cos’è che è mancato negli anni e come intervenire.
Quella dell’ospedale “San Giovanni di Dio”, non è che l’ennesima metafora del vissuto quotidiano agrigentino, dove depotenziata risulta, non tanto (o meglio, non solo) la materia con cui sono realizzate le costruzioni, quanto la percezione del normale.
L'unica strada mi pare essere quella di spezzare la logica del disimpegno e della disillusione. La risposta non può provenire solo a livello politico, ma, ancor prima, a livello sociale, perché sociale è il problema. Occorre avviare una nuova stagione di risveglio etico e culturale, diffondere i germi dell’attivismo civico. Fortunatamente i segnali ci sono, basta solo coglierli e convogliarli. La vera novità, che negli ultimi tempi sta cercando di smuovere ed ossigenare le acque stagnanti della società agrigentina, è costituita da un piccolo, ma importante, segnale che viene dal basso, dalla collettività: è la nascita di vari movimenti spontanei per la costituzione di un nuovo modo di vivere e sentire Agrigento. Credo che fino ad ora l’associazionismo sia stato ingiustamente snobbato dall’intelligentia agrigentina, addirittura temuto da qualcuno, in sostanza non appieno compreso nella sua essenza e nella sua finalità. Potrebbe, invece, essere una nuova linfa, un nuovo propulsore da valorizzare e cooptare, di certo da non disperdere.
La mia, sia ben chiaro, è un’opinione necessariamente parziale, perché, pur parlando a titolo personale, faccio parte di una di queste associazioni, sebbene la distanza mi porti ad essere soltanto osservatore attento delle dinamiche e del dibattito interni ad essa. Posso, tuttavia, rendermi testimone della genuinità e del nuovo impegno civile e culturale, rigorosamente non elitario, che sta fermentando all’interno dei vari movimenti spontanei, estranei ai consueti schemi politici.
Cogliere queste nuove energie, nuove idee, coniugarle con le esperienze di chi fino ad oggi si è speso per mutare il modus vivendi di Agrigento, recuperare la prorompenza e la vitalità degli ex sessantottini, spesso ormai chiusi nei loro inutili Aventini (le critiche che attirerò con questa mia chiosa saranno tutte ben accette). Potrebbe essere un inizio.