RICORDO DI GASPARE GIUDICE di Dante Bernini
Ho tra le mani nel caldo già fastidioso della solita estate precoce, un piccolo libro (cm.15x10,5), edito da Sellerio nel 2005. Esprimo tutta la mia gratitudine all’amica Elvira per la nobile idea che ha avuto, insieme alle cento altre con cui ha mandato avanti brillantemente la sua azienda editoriale, di difendere il gusto del piccolo formato, contro la tendenza che sembra averci sopraffatto dei grandi e pesanti, e quindi costosi, bestseller, tirati a milioni di copie, che stanno facendo scempio non solo dell’intelligenza di incauti lettori (inconveniente di cui potremmo anche disinteressarci), ma purtroppo anche delle foreste, amazzoniche e non, con conseguenze ben più gravi sull’ambiente, del quale vogliamo in ogni caso occuparci. Con un pizzico di ingiustificata nostalgia, tiro fuori un libro ancora più piccolo (cm.13x8), edito da Bompiani nel 1942, lo stesso anno in cui ci trasferimmo ad Agrigento, anno di guerra, economia di guerra, gravi esigenze di risparmio di materie prime; il prezzo di copertina è indicato in lire dodici. Autore del libro è Ashihei Hino, nom de plume (stando alla nota del traduttore) di KatsunoriTamai, di professione scaricatore del porto di Kyusciu, il titolo del libro è Orzo e soldati, un analogo orientale del nostro Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern. Due storie di guerra dunque, due sergenti, due destini analoghi, in luoghi e circostanze assolutamente dispari, l’uno nelle distese della Cina Centrale, calde e polverose, coltivate a orzo, l’altro nelle distese ghiacciate del Don, e comunque spinti da una medesima forza, che è quella che dirige la tragedia umana. Comprai, non senza sacrificio, quel libro giapponese solo poco tempo dopo aver messo piede in Agrigento, quando aggirandomi estraneo per via Atenea, sbirciando dal marciapiede mi accorsi di una scaletta che portava a una piccola libreria imbucata nel sottosuolo (se non ricordo male, doveva essere all’incirca, ma sul lato opposto della via, all’altezza del fu palazzo della federazione fascista, poi diventato, semidistrutto dai bombardamenti e pericolante, la sede del Liceo Empedocle, dove conclusi gli studi liceali. Qui fui “coinquilino” di Gaspare Giudice, anche se ci ignoravamo a vicenda, Gaspare era avanti di un anno, e fuori dalle rispettive aule non ci furono occasioni d’incontro; tra l’altro il clima di guerra, l’oscuramento serale, la fretta di rifugiarsi tra le pareti domestiche non favorivano le relazioni umane.
Avevamo però in comune la strada di casa, lui abitava “sottolaBancad’Italia”, io “sottogas”, in una di quelle tristi palazzine “ultrapopolari” non ancora finite di costruire, impiantate fra sentieri scavati dallo scolo delle acque di qualunque natura nell’arenaria, residui di terra qua e là coltivata a orti da improvvisati ortolani senza strumenti e senza genio. Da quel fosso inabitabile si affiorava lungo una direttrice precaria che aggirava la stazione ferroviaria, lambendo il fianco della chiesa di S.Calogero, e infine affrontando l’ultima salita lungo una transenna di cemento a elementi crociati di imitazione antico-romana, da lì, dietro l’abside di S.Pietro s’imbucava il vicolo per la Porta di Ponte o la via Pirandello con approdo definitivo alla via Atenea, “alla porta di fondo del carcere dove si bestemmia la sera” – come recitò Gaspare nella sua “Ballata e cronaca dal carcere di Agrigento”, in cui si espresse subito col suo ingegno e la sua cultura.
Lungo questo itinerario ci incrociammo naturalmente molte volte, fra trasandate aiuole insozzate dai rifiuti da cui spuntavano stenti oleandri, e mi incuriosiva quel mio coetaneo già stempiato, pallido e serio, forse un po’ immusonito (i motivi non mancavano a nessuno nello sfacelo in cui il Paese era stato precipitato). Tempo dopo ci trovammo fra amici comuni e stabilimmo quel contatto che ci fece vivere una lunga e sincera amicizia. Parlavamo di letteratura, stava preparando la sua tesi di laurea su Mallarmé, io trascuravo la facoltà di lettere per ragioni di lavoro. Una volta Gaspare mi disse, (e non ho mai capito quella sua voglia improvvisa, ma subiva già per misteriose ragioni quella attrazione per Napoli che lo portò a sceglierla per sua sede di lavoro e di vita?)
– Facciamo una gita a Capri – mi disse, e andammo a visitare con un panino la Grotta Azzurra e Anacapri e l’ombra di Tiberio, inesperti e incitrulliti dal provincialismo in cui eravamo cresciuti.
Parlavamo di Pirandello, per mio conto l’avevo scoperto nella bibliotechina di classe del Liceo Empedocle quand’era ancora nella sua sede “storica” nel convento di S.Francesco d’Assisi, poi finito in macerie, e avevo letto tutto quello che vi trovai con stupore della supplente di italiano, che non sapeva spiegarsi tanto interesse, ma al Liceo di Taranto non avevo mai sentito pronunciare quel nome. Presto però mi resi conto che a Gaspare Pirandello non piaceva e abbandonammo l’argomento.
Con l’andar del tempo però di Pirandello egli divenne un sottile conoscitore, e ne pubblicò presso la Utet nel 1963 una dotta biografia che piacque a molti e fra gli altri a Leonardo Sciascia che la citò spesso a modello. A sua volta Gaspare s’impegnò nello studio dello stesso Sciascia dedicandogli il saggio intitolandolo per insolita bizzarria Lo Stemma di Racalmuto.
Facemmo entrambi l’esperienza del partito comunista e Gaspare entrò a Roma nella redazione di Vie Nuove, abbandonandola poi senza rimpianti, per dedicarsi all’insegnamento di cui a mano a mano si stancò, fino ad abbandonarlo Per mio conto avevo completato il corso di laurea con Giulio Carlo Argan e mi dedicai al lavoro delle soprintendenze (tutela del patrimonio storico-artistico, musei, mostre ecc.).
Ma torniamo al libretto da cui siamo partiti, s’intitola Storie di animali. Le storie sono di Franz Kafka, e di Gaspare è la cura del volumetto, con l’appropriata introduzione e l’accurato commento, oltre a una Appendice zoologica a proposito di Gregor Samsa trasformato in insetto parassita. Nella congiuntura culturale del Dopoguerra che aveva aperto orizzonti prima chiusi dal dominio politico fascista, probabilmente crebbe in Gaspare l’interesse per Kafka, anche per effetto dell’esperienza fatta nel vivo del pensiero di Pirandello, dalla riflessione sui fatti culturali che almeno per motivi cronologici vennero a coincidere nei due scrittori forse meno lontani tra loro di quanto non appaia a prima vista.
Rimpiangeremo l’amico caro e l’uomo di cultura.