SUL GOLF RESORT DI SCIACCA di Vincenzo Campo
Submitted by Suddovest on Sat, 21/02/2009 - 10:21
Nel parlare del rigassificatore di Porto Empedocle – e preciso “di Porto Empedocle” perché mai ho parlato di rigassificatori in generale- ho espresso l’opinione per la quale sarebbe opportuno anteporre alla decisione sulla sua realizzazione quella, più generale, di cosa fare del nostro territorio, di noi stessi e su che cosa cercare di fondare il nostro sviluppo.
Altri invece propendono per la realizzazione del rigassificatore allo scopo, se non altro, d’approfittare di quanto saranno costretti a lasciare qua quelli che lo realizzeranno.
Ora un’altra questione s’affaccia ed è quella della ormai imminente apertura del Golf Resort di Sciacca, fortemente voluta dal tour operator italo-inglese Rocco Forte e realizzato, mi dicono, con forti contributi pubblici.
Il “resort” tutti sappiamo è un luogo di soggiorno, e come un “fishing resort” è un luogo di pesca e un “winter resort” è un luogo di villeggiatura invernale, un “golf resort” è un luogo di soggiorno finalizzato al gioco del golf. Perfettamente funzionale, dunque, ad uno sviluppo turistico; io propendo per investire nel settore del turismo, nel cercare di mettere a frutto le risorse delle quali disponiamo piuttosto che andare a cercarne di altre, diverse e nuove e, perciò, dovrei essere contento di un investimento milionario in questa direzione.
Nient’affatto. Siccome sono un incontentabile brontolone come il nano di Biancaneve al quale somiglio pure fisicamente –una cara amica parlando di me con altri mi chiamò “Loacker”, che era, se non lo ricordate un vecchio nanetto che pubblicizzava un cioccolato-, non sono affatto contento. E non credo d’essere matto; certamente brontolone, forse incontentabile, matto no di certo.
Il problema è sempre, ancora lo stesso: non possiamo e non dobbiamo realizzare interventi di nessun tipo se prima non si stabilisce cosa si deve e cosa si vuole fare; se prima non si studiano tutte le conseguenze che l’intervento avrà; se prima non si capisce, e mi pare addirittura banale, qual è il rapporto costi/benefici; e ciò, ovviamente, non solo nel campo della chimica o delle energia, ma anche in quello del turismo.
Ho un’idea, seppure non precisa, della quantità di persone, di interessi e in definitiva di denaro che l’iniziativa sarà capace di spostare; so del grande interesse che c’è oggi nel mondo intorno al gioco del golf e capisco quanto interessante sarebbe realizzare un struttura che, fuori dalle brume inglesi e irlandesi, lontano dalle piogge continue, senza la neve e il maltempo consentirebbe di giocare se non tutto l’anno, quasi. E fin qui tutto bene.
Il golf è un gioco signorile, distinto, che s’adatta a tutte le età, che può essere giocato da signori anche attempati che, con la scusa di mandare in buca una pallina di guttaperca –una volta era di guttaperca, oggi non so più- percorrono in maniera salutare chilometri e chilometri in un luogo certamente ben areato e ossigenato, come è un campo da golf; se poi il campo è lontano da raffinerie o anche da rigassificatori, l’aria è ancora più netta e più pura. L’ideale.
Ve l’immaginate che bello spettacolo? Meglio del tennis, che pure ha il suo aplomb e la sua distinzione: pantaloni quadrettati allacciati alla zuava su lunghi calzettoni di lana, gilé di un quadrettato diverso dai pantaloni accostato a quelli con azzardato gusto tutto anglosassone, linda camicia bianca, cravatta scozzese con l’ennesimo diverso quadrettato e, infine, berretto largo di lana rigorosamente quadrettato anch’esso. Senza chiasso e senza gridare, compostissimi, per chiacchierare, non so, dell’ultimo Derby di Epson e di quel tale cavallo che s’è azzoppato o della regina, a tirare una pallina nel tentativo d’imbucarla
Immagino che compostezza, eleganza e contegno saranno messi dura prova dal caldo sole di luglio e d’agosto e mi auguro che i nostri compassati ospiti non si sentano molto disturbati dal frinire delle cicale che potrebbe far perdere la concentrazione nel momento del mirare.
Anche questo va bene e non andrebbe male neppure se questi nostri ospiti esagerassero al punto da pensare, al pari di Bertram Wilberforce Wooster, Clarence Threepwood, Bingo Little e tutti gli altri personaggi del Drones Club e di P.G. Wodehouse, compreso l’ineffabile Jeeves, che il golf è la sola parte importante della vita.
E certamente non ho nulla in contrario ad immaginare che nella ridente cittadina termale siciliana s’impiantino quadretti che io immagino molto inglesi e anglosassoni: fino a quando ci si ferma alla scena e non si vada allo scenario.
Infatti il problema, quello che io vedo come un problema, è proprio lo scenario; perché scene di vita come queste che ho immaginato possono anche mancare e –credo– si può giocare a golf anche perdendo tutta la compostezza, la compassatezza e ogni altra cosa che ricordi l’Inghilterra e il mondo anglosassone, ma non si può certamente giocare a golf se manca l’apposito campo, quello di fatto costituito da un prato: un prato, appunto, inglese o all’inglese.
Intanto forse molti di noi non immaginano quali siano le dimensioni di una campo da golf; ce ne sono di diversi tipi che si identificano in relazione al numero delle buche: 9, 18, 27, 36 buche o più; immaginando che quello di Sciacca sia da 18 buche –non può essere da nove perché questo tipo di capi si realizza all’interno delle città- e risparmiandovi la noia di tutti i calcoli per le varie necessità ed esigenze, il campo non potrà essere meno esteso di 60 ettari circa. Un piccolo feudo. Seicentomila metri quadrati, più di sedici salme di terreno misurato con la corda di Agrigento e più di ventidue salme e mezza, se misurato con la corda di Sciacca. Un’azienda agricola di quelle che ce n’è poche dalle nostre parti, da quando non c’è più il latifondo.
Insomma, proviamo ad immaginare 83-84 campi di calcio uno accanto all’altro e uno dietro all’altro. E proviamo ad immaginarlo come dovrebbe essere, e cioè, tutto a prato inglese, qualche siepe, qualche albero, delle piccole aree con sabbia, degli stagni e dei rigagnoli.
Perché il prato inglese di sessanta ettari venga su e ancora di più per mantenerlo non so neppure calcolare quanti metri cubi d’acqua necessitano, in un una zona in cui l’acqua è un bene prezioso.
Ma anche a valutare che sarebbe comunque opportuno e redditizio prosciugare il Sosio e il Verdura per irrigare la gramigna del campo da golf invece che le Washington Navel, è certamente inopportuno far cambiare radicalmente l’aspetto e la faccia di un’area di ben sessanta ettari: immaginate distese di terra a perdita d’occhio tutte verdi, con qualche macchia di alberi, qualche siepe ogni tanto; saranno estirpati, mandorli, fichi d’india, agavi e tutte quelle piante che saranno incompatibili da un lato col prato inglese in se stesso, per esempio per via della necessità di quest’ultimo di continue irrigazioni e dall’altro col campo da golf che necessita di pochi e studiati ostacoli in grandi radure libere da alberi e siepi.
E mi chiedo cosa pensa chi ha approvato l’abbattimento di una ventina di eucalipti perché così si restituirebbe integrità ad un bosco di mandorli di goethiana memoria; mi chiedo se pensa giusto e opportuno realizzare un bel pezzo di campagna britannica o gallese o irlandese a ridosso degli aranceti di Ribera e all’ombra del San Calogero –nero africano- di Sciacca.
Abbigliati come Bertie Wooster, con un bel cestino di vimini che contiene pudding e London porter, andremo a distenderci sull’erbetta fresca e umida e con un fiore in bocca discorreremo non più di Inter-Milan, ma del Royal Ascot, del Derby di Epson e della regina; sogneremo una mitica battuta di caccia alla volpe nelle campagne del Modaccamo, per mezzo della quale soltanto ci faremo finalmente europei.
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