Scusate. Scusate tutti. Non avevo capito. Parlo di eucalipti e devo dire che l’intervento di Gaetano Gucciardo è stato veramente chiarificatore e illuminante. Purtroppo. Egli dice che la legge è legge e che, piaccia o no, va rispettata. È giusto; giustissimo e incontrovertibile. Nell’area del Parco archeologico la legge è costituita, oltre che dalle altre leggi dello stato, anche dalle leggi e dai regolamenti del Parco. La legge del Parco dice che specie esotiche, e sottolineo “esotiche”, nella sua area, non ce ne devono stare perché la Valle dei templi, secondo una “consolidata definizione letteraria” è definita come “bosco di mandorli e ulivi”. Non l’avevo capito; e non l’avevo capito, ovviamente, sia per una mia scarsa capacità di comprendere aggravata dall’impoverimento dei miei vecchi neuroni, ma anche da una mancanza di comunicazione da parte del Parco, che niente, ma proprio niente ha voluto dire, né agli agrigentini né al mondo su se stesso, se non quello che doveva nelle forme di legge.
Ci provò lo stesso Gaetano Gucciardo, a principio di questa ultima estate ad illustrare il piano del Parco alle Case Sanfilippo; non ci riuscì perché lì nessuno illustrò nulla, era presente qualche consigliere e un solo tecnico (fra quelli che io conosco) e chi era andato per conoscere rimase ignorante. Era stato anche preparato un proiettore di diapositive, ma rimase spento. Lì, sono certo, avremmo potuto conoscere la norma della revoca del diritto di cittadinanza all’esotico all’interno del parco e invece che criticare il loro abbattimento avrei plaudito perché quell’abbattimento ristabiliva il diritto dagli stessi violato. Amaramente: summum jus, summa iniuria.
Bene. Anzi: male.
Siccome la Valle è il letterario bosco di mandorli e d’ulivi, togliamo via tutto ciò che non è mandorlo e ulivo; ma siccome l’affermazione è troppo grossa e le conseguenze dell’applicazione del principio sarebbero devastanti limitiamoci a togliere solo gli esotici; cioè lasciamo anche qualcos’altro, come la Polygala myrtifolia che s’accorda bene e l’acanto che ci riporta ai corinzi e il lazzeruolo che non esiste più e il sorbo che è ricordo dei vecchietti come me e l’astragalo che è immunostimolante, antibatterico e antivirale, ma, perdinci, cacciamo l’esotico. Che se ne torni ai tropici, l’esotico, o lì, da dovunque viene.
Maaaaa….. se nel Parco deve morire l’esotico che fine fanno le opuntia ficus indica, cioè i banali fichi d’India, le agavi, le iucche,quelle bellissime elephantipes che se non ricordo male ornano Villa aurea, l’aloe, e le palme, specie le dattilifere che, in coppia come una volta i carabinieri in alta uniforme ai fianchi del Presidente delle assise, non mancavano mai nelle case padronali?
In fin dei conti il passare dal non autoctono di Salvo Grenci all’esotico di Gaetano e del Parco, mi pare, peggiori e non migliora le cose: il non autoctono, quando ha la capacità di riprodursi nel luogo diverso da quello originario diventa autoctono; l’esotico rimane sempre tale perché, pur riproducendosi in loco, mantiene le sue caratteristiche originarie.
I neri d’America; venivano da paesi lontani, erano non autoctoni ed esotici; hanno cominciato a riprodursi in America, sono diventati americani e cioè autoctoni, ma sono rimasti neri e cioè esotici.
Che guazzabuglio. Che confusione.
Io non so se l’eucalipto è capace di riprodursi da solo e non lo voglio sapere, perché non accetto il concetto alla sua radice: non sono, non possono essere né l’autoctonia né l’essere nostrano i criteri discretivi della salvezza di una pianta quale che sia, ma altri. Lo dimostra il paradosso del fico d’india che, a stretto rigore, non avrebbe diritto di cittadinanza nel parco.
La verità è che, in realtà, si preferiscono i musei alla vita e io mi annoio nei musei e gioisco alla vita; che il parco è visto come un museo e non come cosa viva all’interno della quale vanno cercate e trovate compatibilità, continuità, armonie senza le scorciatoie delle imbalsamazioni.
Può piacere e può non piacere; a me non piace, ma approvo che si è costruita la piramide davanti al Louvre; bisogna sapere osare perché è nella natura stessa dell’uomo. Osare consapevolmente, e non a casaccio, naturalmente.
Abbattuto il muro di Berlino e seppellito definitivamente il comunismo siamo stati portati a pensare che fosse stato seppellito tutto ciò che al comunismo era in qualche modo legato. Io penso diversamente e amo ricordare, affinché l’uomo non si riduca ad essere ape ma sia sempre architetto, un bellissimo passo del buon vecchio Carlo Marx: “””l’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell’idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell’elemento naturale; egli realizza nell’elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà.”””