IL MESTIERE DI GIORNALISTA VA SCOMPARENDO IN ITALIA di Giovanni di Girgenti

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Lo ha scritto con estrema chiarezza Salamandra: il mestiere di giornalista va scomparendo in Italia, soprattutto nei grandi veicoli di informazione. Quello che è successo a Porta a Porta, quando quattro giornalisti, ( tre ospiti + Vespa), hanno radicalmente mutato stile, toni e qualità,quantità e incisività delle domande, nello stesso arco temporale, a seconda che avessero come interlocutore Berlusconi o Prodi, ne è un epifenomeno imbarazzante, ma non sorprendente. Mettiamola così: con Prodi si sono ricordati di essere giornalisti, con Berlusconi spalle teatrali. Si potrebbe rozzamente dire che Vespa in fondo ha confermato i suoi orientamenti politici, Latella i suoi buoni rapporti con la consorte di Berlusconi, il direttore del Mattino quelli con il suocero di Casini e Gramellini con l’editore di Panorama. No, la realtà è ancora più preoccupante: si è data plastica conferma di una mutazione genetica del mestiere di giornalista che da detentore di una specifica competenza è venuto scivolando in intrattenitore generico, puro mediatore tra il potente ( editore, politico, artista ecc.) e il mezzo tecnico, e, laddove il potente ha una sua dimestichezza col mezzo, puro pleonastico ingombro. Naturalmente ci sono ragioni, per così dire, oggettive che hanno determinato tale deriva: il dominio anche politico di Berlusconi ha introdotto nel nostro paese un’attenzione morbosa ed un controllo spietato verso i media insieme al prosciugamento di ogni possibile articolazione del mercato, ponendo spesso i giornalisti davanti all’alternativa ‘adeguamento o disoccupazione-emarginazione’. Tale condizionamento oggettivo non va dimenticato; ma la sua rilevanza non può fare dimenticare le responsabilità soggettive di chi troppo facilmente si è piegato ai nuovi committenti. La domanda forse troppo semplicistica da farsi è questa: perché laddove un nuovo governo cambia i direttori di una Asl o di una azienda ospedaliera la qualità delle prestazioni dei medici resta sostanzialmente invariata e invece quando una nuova maggioranza politica cambia i direttori di un TG il prodotto informativo cambia radicalmente? Non ci dovrebbe esser uno specifico professionale anche nei giornalisti, come nei medici, irriducibile a nessuna delle tendenze politiche di chi ha il comando editoriale? A meno che non si pensi, e si teorizzi, come fa da sempre Giuliano Ferrara, che non esista uno specifico giornalistico e che in realtà gli operatori dell’informazione non siano altro che politici mancati o aspiranti tali o puri amplificatori di politici. E invece dobbiamo con forza sostenere che uno specifico esiste, fatto di capacità di selezione, di verifica delle fonti, di interpretazione, di trasmissione delle notizie ed esiste tanto più in un mondo come il nostro in cui sembrano annullarsi le distanze tra i soggetti dei fatti e gli strumenti di comunicazione che sembra suggerire l’annullamento della mediazione giornalistica e che al contrario la rende ancora più necessaria e decisiva. Perché i giornalisti televisivi in questi ultimi terribili anni non hanno espresso e difeso questa specificità? Perché è stato possibile un semplice cambio di direzione per modificare radicalmente un intero prodotto giornalistico? Dobbiamo aspettare un altro cambio di direzione per modificare la qualità dell’informazione? Naturalmente direttori meno legati ai potenti di turno, una riapertura del mercato dell’informazione, soprattutto televisiva, favoriranno una maggiore libertà del giornalista, ma ciò non basta se non si assume a fondamento del nostro lavoro la consapevolezza di un patrimonio specifico di professionalità da esibire e difendere sempre. Vogliamo discutere anche di questo? E’ facile, è comodo, troppo comodo, riporre tutte le nostre speranze in un cambio di guardia politica. Ci dovrà essere, naturalmente, ma non per coprire le nostre paure e pigrizie intellettuali.

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