LA SATIRA SEPPELLIRA' GLI ARCAISMI MUSULMANI? di Giovanni di Girggenti
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Ma siamo sicuri che la satira degli anni sessanta contro la sicilitudine e i suoi arcaismi, al cinema, in tv, ovunque si sia espressa, abbia avuto una qualità progressiva? Abbia aiutato cioè i siciliani a liberarsi dei fardelli oppressivi del familismo e del maschilismo?
Prima di rispondere alla domanda è il caso di ricordare che i Siciliani hanno subito un vero e proprio bombardamento satirico la cui ferocia fa impallidire la carica denigratoria delle vignette antimaomettane di oggi: film come ‘Sedotta e Abbandonata’ ‘Divorzio all’italiana’ ‘Nel nome della legge’ o personaggi come quelli interpretati da Tiberio Murgia ( un sardo prestato alle maschere siciliane) hanno veicolato una tipizzazione del siciliano antimoderno, ottuso, ripugnante dove il maschio era ossessionato dai piaceri (immaginati) e dai tradimenti (praticati) della donna e in cui l’universo valoriale nasceva e finiva dentro le pareti domestiche o tutt’al più nei perimetri delle processioni del santo patrono.
Ma era proprio così il siciliano degli anni sessanta-settanta? Naturalmente no. Ma noi ragazzi siciliani ridevamo di quelle rappresentazioni della nostra società? Naturalmente sì, ma di commiserazione per le semplificazioni banali che ci venivano proposte. I siciliani avevano imparato a ridere di queste stronzate già con ‘L’aria del continente’, messa in scena nel 1910 da Nino Martoglio e Angelo Musco, diventata poi film negli anni trenta. Dubito che un solo siciliano degli anni sessanta e settanta si sia reso conto e liberato degli ‘arcaismi’ della propria esistenza ridendo con quelle rappresentazioni. Semmai era l’Italia del post boom che si compiaceva nel vedere in questi film la distanza con il proprio passato, la bontà del percorso di liberazione del costume che nelle sue regioni più avanzate era riuscita a guadagnare inseguendo il modello americano. Il siciliano cinematografico era il gruppo di riferimento da cui misurare la distanza; insomma più che aiutare i siciliani a migliorare sé stessi quei film confermavano i gruppi dirigenti nella loro modernità e superiorità. Vorremmo fare oggi la stessa cosa verso gli arcaismi musulmani? E cioè illuderci di aiutarli a farli sorridere di loro stessi mentre in realtà ci compiaciamo della nostra superiorità? A chi, siciliano come me, aveva vent’anni alla fine degli anni sessanta, più che la satira, aprivano orizzonti sconfinati di coscienza autori come Carlo Levi del ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ o Ernesto De Martino di ‘Sud e Magia’ i quali, rinunciando in partenza a costruire gerarchie tra le civiltà, ci aiutarono a capire la densità storica delle nostre ’stravaganze’, indicandoci implicitamente una via al loro superamento che non fosse la pura assimilazione delle culture altrui ma il frutto della consapevolezza della nostra capacità di produrre cultura e storia. Una via alla modernizzazione autoprodotta. Questa via era politicamente rischiosa per i gruppi dirigenti di allora che non volevano un sud autonomo e autopropulsivo, ma subalterno e rivendicativo. Questa via fu tracciata avventurosamente da Adriano Sofri dopo i moti di Reggio Calabria e con il giornale “Mo’ che il tempo si avvicina” nel quale tuttavia prevalse la mitizzazione della spontaneità meridionale che innocente non era più ( le lucciole, come fu detto, stavano scomparendo). Questa via trova ancora oggi un punto di riferimento nel nuovo meridionalismo di Cassano. Questa via è simile a quella che dovrebbe indicarsi ai musulmani da liberare, non già una satira di regime, costruita a tavolino cioè, una satira prodotta da chi vive al riparo del benessere e dell’opulenza, ma la sottolineatura dei valori storici di tutte le civiltà e della capacità di inverarle e di superarle degli uomini, di tutti gli uomini. Ma questo presuppone la coscienza dei limiti delle civiltà, anche della nostra. Chi sono i Carlo Levi e i De Martino pronti a esplorare con questi occhi il mondo musulmano di oggi?