VEDO TATTICISMI DELETERI
C'ero anch'io tra le migliaia di persone in festa per l'elezione di Marco a sindaco di Agrigento. C'ero a Porta di ponte e a viale Cannatello, nella sede del suo comitato elettorale, insieme ad un popolo felice e commosso, un popolo che non credeva ancora al miracolo politico di avere tolto ai partiti e ai boss del centrodestra il monopolio del potere. Ho visto Marco abbracciarsi con Capodicasa, con Adragna, con Cusumano, con Miccichè con la Passarello, candidata fino a due settimane prima di Rifondazione e dei Comunisti a sindaco. Ho visto Marco ricevere e dare abbracci e baci da un'infinità di persone senza etichetta politica che hanno per una volta provato l'ebbrezza di un voto libero, sottratto ai doveri e alle complicità delle tribù di appartenenza.
Ho creduto subito nella candidatura di Zambuto, ho preso molto sul serio i suoi discorsi e le sue denunce sul malgoverno locale, sul sistema di potere messo in piedi dai giovani rampanti del centro destra. L'ho detto pubblicamente e l'ho scritto. Non mi interessava una ricollocazione politica di Marco: la sua candidatura, per il modo con cui avveniva e per i contenuti che esprimeva, era già un rottura politica di grandi proporzioni. Mi ricordo i discorsi infuocati anche del suo vice, il dottor Luparello, non lasciavano spazio a nessun equivoco: una storia nuova per Agrigento. Apertura a tutti gli uomini e le donne che volessero contribuire al riscatto della città, qualunque fosse la loro coloritura nel passato, alla sola condizione che condividessero la necessità di voltare pagina.
Un sindaco oltre i partiti, non sopra o contro, un sindaco che si dichiarava consapevole di dover trovare nei partiti e oltre i partiti che lo appoggiavano, quelle idee e quelle energie che erano indispensabili ad un'opera poderosa di riscatto e rinascita.
La sua giunta nasceva in coerenza con questa ispirazione, ma con una inspiegabile mutilazione: non vi erano uomini o donne riconducibili a quell'area ex DS, che pur aveva creduto nella sua candidatura fino al punto di rinunciare ai propri simboli e di mettere il nome 'Zambuto' nel nuovo contrassegno elettorale.
Adesso scopro, nella lettera di Capodicasa, che da allora nessun incontro, nessun confronto, nessuno scambio di opinioni ci sarebbe stato tra il viceministro e il sindaco di Agrigento, cioè tra due realtà istituzionali che dovrebbero parlarsi e intendersi per il bene della città, così come nessun incontro ci sarebbe stato tra il sindaco e le forze politiche e intellettuali che lo hanno appoggiato durante la campagna elettorale. Mi sembra una follia politica. Mi sembra un modo perfetto, direi scientifico, di buttare al vento possibilità aggiuntive di intervento sulla mia città e un modo di tradire quello che davanti agli elettori si è promesso solennemente: tutti insieme oltre i partiti.
Perché il partito democratico agrigentino, in questi mesi di sua formazione, non ha animato la discussione e il confronto sugli obiettivi di sviluppo della città? Il sindaco e la sua giunta perché non hanno inondato il governo Prodi, e Capodicasa in particolare, di richieste e di progetti utili alla città? Era questo l'impegno sottoscritto davanti agli elettori.
Avverto tatticismi politici antichi nel dibattito politico che si è innescato in questi giorni ad Agrigento, come se la principale preoccupazione fosse non già quella di portare a casa il risultato per la città, ma spazi di posizionamento per future carriere o incarichi assessoriali. Ottenere da Cuffaro quello che normalmente si deve avere non è un grande risultato, né il riconoscerlo, con il dovuto bon ton istituzionale, il preludio di un ritorno del figliol prodigo.
Ci sono troppe riserve mentali. La città ha bisogno di altro. Ha bisogno di acquisire un modo nuovo di pensare il suo rapporto con le energie interne e con le istanze istituzionali superiori ( regione e governo nazionale): il nostro sindaco ne è stato capace nella straordinaria e miracolosa esperienza della Notte bianca, laddove con pochi soldi e con le nuove energie di un gruppo di trentenni esterni ed estranei ai vecchi gruppi di potere culturale locale, è riuscito a far ritrovare l'orgoglio ad un popolo che si riconosceva capace di produrre bellezza e cultura e non più di consumare 'la festa e la farina' esterna di chi vuole anche la forca della tua dignità.
Zambuto disse allora che nulla sarebbe stato più come prima dopo l'esperienza della Notte Bianca. Una grande intuizione che speriamo porti i frutti attesi, a condizione che non tornino vecchi linguaggi e vecchie tentazioni politicistiche: sento echeggiare il ritornello antico dello 'stato che ci abbandona', della 'regione che non ci finanzia'. Lo conosciamo questo piagnisteo subalterno: per decenni ha costituito l'alibi di copertura delle peggiori pratiche amministrative locali.
Con Zambuto questa pratica mi è sembrata chiusa. Marco sa che la condizione principale per uscire dal nostro degrado è la consapevolezza delle nostre responsabilità. Si chiami tutta la città, i suoi intellettuali, le varie associazioni, i sindacati, tutti i partiti, a pensare come costruire il nostro futuro. La nuova politica non può che essere questa.