MEMORIA DI UNA LEZIONE MANCATA di Angelo Cinquemani


Chiedetevi pure cosa sarebbe successo. Fermatevi un poco a pensare girgentani… indagate con lo sguardo e con la mente e ancor prima di trovar risposte, pur se non capite ancora, state fermi-fermi e svuotate d’aria il torso come chi, per sospiri, si solleva da tutto il male che poteva capitargli addosso. Già perché, vi dico d’ora, che di tutti i tagli e morsi che il tormento vi danno ancora, per fortuna non portate in corpo quelli che, di certo, vi avrebbero scavato il fosso. Non è farneticare amici miei e se dunque pensate d’esser pronti, provate a dar risposta adesso…

Se quel giorno di luglio non ci si fosse scoperti nudi… se quel giorno di luglio il torpore non fosse svanito… se quel giorno, il 19 luglio del 1966, la voracità e l’inclemenza di una frana inaspettata non avesse proiettato sulla ribalta nazionale gli orrori urbanistici di Agrigento che cosa, ditelo a voi stessi, sarebbe successo…
Tornate a guardarvi attorno e capirete che se quel dì non fosse arrivato ecco di quale simil sciagura saremmo ora a lagnarci: la barricata di cemento, l’anello dei tolli murato attorno al centro storico si sarebbe certo serrato a strozzare città e abitanti ed è naturale che lo stesso quartiere antico sarebbe stato presto strappato via. Siate grati al destino allora e non solo perché la frana decise di non portarsi via nessun cristiano ma anche perché pose un certo fermo allo scempio in atto svelando tanto di quel marcio che ancor oggi pare di sentirne il tanfo. All’indomani del disastro e superata la prima fase dell’emergenza umanitaria si impose diffusa l’esigenza di sapere e capire come era potuto accadere, e non solo ciò che riguarda la frana, intendiamoci, ma soprattutto come era stato possibile che tutto quel disordine mostruoso di costruzioni soffocanti e fuori misura si fosse impadronito del perimetro della città. Fra i primi a svegliarsi e a trovarsi giù dal letto, oltre a tanti muti girgentani, furono anche, per dovere d’istituzione, anche i vertici dello Stato. Siamo ai tempi di Saragat e di Moro e l’allora Ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini dispose l’istituzione di una commissione d’inchiesta che facesse luce sui fatti e gli scempi di Agrigento. Il compito di scavare il torbido fu coordinato dal direttore generale dell’Urbanistica Michele Martuscelli, acuto e colto funzionario dello Stato, il cui nome rimane legato proprio all’ardire ma anche all’estrema dovizia con cui denunciò le malefatte edilizie agrigentine. La “relazione Martuscelli”, che concluse l’attività d’inchiesta e la cui valenza tecnica ma anche storica, sociale e di denuncia collettiva rimane viva a più di quarant’anni dalla sua redazione, svelò tutti gli altarini e gli intrighi che si nascondevano all’ombra lunga del cemento e fra le sale dei bottoni. Vi si legge già nella lettera d’introduzione: ”Signor Ministro […] le prime fotografie apparse sui quotidiani dopo la frana hanno mostrato per la prima volta al paese, al mondo, il volto di una città che non nulla aveva più a che vedere con i passi letterari o con i ricordi di solo pochi anni addietro. Forse gli stessi autentici agrigentini, dagli abitanti dei catoi agli schivi uomini di cultura, ebbero in quell’istante un’illuminazione che permise loro di vedere nelle reali dimensioni quel nuovo mondo mostruoso che, pezzo per pezzo, si stava montando, in scala gigantesca, attorno all’antica e nobile città di Girgenti, ed alcuni pezzi del quale, forse più per imperizia di uomini che per oscuri eventi naturali, erano tutt’ad un tratto crollati”.
Come un novello Alighieri Martuscelli si addentrò allora “ne lo ‘nferno” d’Agrigento, in quel “loco selvaggio” che con torri e picchi si spandea in indegno modo. Il suo “dirò de le cose ch'i' v'ho scorte” esprime sdegno, stupore ed un giudizio di pesante condanna sull’operato di chi ha amministrato: ”l’interesse pubblico è praticamente assente nell’azione comunale, la quale appare dominata soltanto dalla preoccupazione di favorire - comunque ed a qualunque prezzo – le singole iniziative costruttive: poco importa se tutto ciò avvenga in forma disordinata, in contrasto con le disposizioni vigenti, in dispregio delle più elementari norme igieniche, in assenza delle attrezzature pubbliche indispensabili per la vita associata, ed infine con grave ed irreparabile pregiudizio per i valori paesistici ed archeologici della città, di cui l’autorità comunale avrebbe dovuto essere intransigente e vigile custode”.
Davvero emblematica e sconcertante la “competizione” in corso in quegli anni ad Agrigento di cui riferisce Martuscelli: “In questa esplosione di abusivismo e di illegalità, in cui losservanza delle norme diventa quasi... un fatto patologico, pare di assistere ad una assurda gara tra costruttori ed autorità comunale. Più liniziativa dei costruttori diventa sfrontata nel violare la legge e più aumentano le concessioni comunali, le autorizzazioni in deroga, le sanatorie; e, per converso, nella misura in cui lAmministrazione comunale consente e legittima le violazioni, cresce laudacia dei costruttori. Cosicché si stabilisce una specie di sinergismo tra azione comunale ed attività dei costruttori, le quali si potenziano ed esaltano a vicenda per convergere in una concorde azione di erosione delle norme e di distruzione della città. Le maggiori infrazioni sono commesse proprio in questa forma: i casi più gravi e rilevanti, infatti, di illegalità possono verificarsi in quanto dopo una prima licenza rilasciata, non sempre, peraltro, in con conformità alle norme, il costruttore chiede la licenza per una maggiore altezza e la ottiene; successivamente supera i limiti autorizzati ed il Comune accorda la sanatoria e cosi di seguito, in un circolo vizioso di corresponsabilità. […]Molte deroghe e sanatorie, anche a voler prescindere dall’enormità delle infrazioni, sono state concesse in base ad un procedimento così tortuoso, illogico, contraddittorio e poco chiaro ed in modo così palesemente favorevole al costruttore, da far sorgere il dubbio che, in tali casi, il comportamento degli amministratori e degli uffici debordi dai limiti dell’illecito amministrativo per invadere il campo dell’illecito penale”.
Interessi vari da supporre dunque ma, forse, non solo quelli. La pervicacia con cui ci si è scaraventati nell’erosione della città rivela radici lontane, custodite nel gene di ciascun figlio di Girgenti e rintracciabili nella storia di un popolo che ha cambiato tanti padroni. Amiamo spesso definirci di speme greca o ancora eredi di gens romana noi girgentani ma vi dico io che è più di altri padri di cui portiamo oggi tracce in viso e nella mente. Non anche al genio degli arabi apparteniamo anche se, certo, sarebbe gran cosa… Tutto mostra che è da popoli di stirpe berbera da cui veniamo. I berberi che ad Agrigento vissero non furono di sicuro legati al territorio e questo perché d’istinto nomade, ramingo e migratore. Vivevano sì di pastorizia ma anche di razzia e di rapina il che li spinse al vedere il bene comune e le zone occupate come un bottino da depredare, una vergine da violare. Detti “arabi” anche loro ma, a ben vedere, ben diversi dalle etnie del nord della Sicilia e non solo per lingua e storia. Gli arabi a Palermo amarono arricchire il territorio, ed è evidente ancora ai giorni nostri per quel che di bello lasciarono, mentre qui giù ben altra storia. Questo atteggiamento di distacco dalla valorizzazione del territorio e dalla tutela delle risorse è ancora quello ricorrente ai giorni nostri ad Agrigento, un’atavica reminiscenza che si evidenzia, una volta di più, nella relazione di Martuscelli laddove viene riportata la spregiudicata inciviltà dell’operato dei vertici della vita politica e sociale cittadina che, si tenga sempre bene a mente, sono comunque e sempre espressione di una comunità intera: “l’autorità comunale ha sempre considerato la tutela dei valori archeologici e paesistici della città come qualcosa di estraneo alla sua competenza, come un fatto che riguardava altri, e peggio ancora come un elemento di fastidio e di impaccio, una remora allo svolgimento dell’attività costruttiva (!). Di qui la contestazione continua del vincolo e la tenace azione svolta per ottenere una riduzione della zona vincolata e la rimozione di vincoli particolari, che vengono spesso giustificate con lo specioso motivo di non aggravare la crisi degli alloggi e la disoccupazione”. Si legge ancora nel dossier tecnico, e qui il passaggio ha davvero dell’incredibile, che “illuminante sull’atteggiamento del Comune al riguardo è una lettera del Sindaco Altieri che, nell’opporsi al vincolo proposto per la zona panoramica della Valle dei Templi, asserisce che <<vaste zone soggette al vincolo costituiscono urbanisticamente le zone naturali di espansione della città>> sostiene anche che nella zona definita Valle dei Templi non può includersi anche <<il pendio di una montagna e di una collina che costeggia la Valle>>, afferma che ragioni sanitarie vietano che si rispetti il vincolo ed infine termina sostenendo che <<non si giustificano i poteri del Soprintendente in un momento storico in cui le decisioni autocratiche vengono sostituite da decisioni di organi democratici, regolarmente ed elettivamente costituiti>> e <<in ogni città esiste una commissione edilizia “elettiva” che ben sa proteggere le bellezze naturali, se esistono, senza sottoporsi a veti ormai inammissibili>>.
E allora via… diciamola tutta! Lo smottamento del ’66 non fu davvero così nefasto come molti lo ricordano. Quel giorno di luglio Demetra e Dike, natura e giustizia, tornarono vive ed amiche in Akragas e memori delle bellezze di un tempo si abbandonarono in una danza vorticosa ed invisibile che, pur urtando e buttando giù alcuni pezzi del nuovo mondo, non servì certo a punire ma, anzi, a redimere dai peccati in corso. Caliamo un poco… difficile dire a che punto la speculazione ci avrebbe condotti ma di sicuro i “giganti della montagna”, di cui parlava un nostro illustre concittadino, ossia l’emblema dell’insensibilità contrapposta all’arte e all’equilibrio, l’immagine del rozzo agire ma, in questo caso anche in un senso fisico che ce li fa vedere come imponenti tolli di cemento, di sicuro si sarebbero ben presto impadroniti per intero della “montagna” ma anche più giù di tutta la valle e del mare greco già fortemente intaccati.
Nelle sue considerazioni finali la relazione Martuscelli apre degli spiragli sul ventaglio delle opzioni possibili:“Gli edifici già costruiti, abusivi o illegittimamente autorizzati, non possono evidentemente essere posti tutti sullo stesso piano. In astratto essi sarebbero passibili tutti di provvedimenti di demolizione, da disporsi immediatamente, o a seguito di dell’annullamento delle relative licenze. Ma un uso così ampio dei poteri contemplati, nelle presenti circostanze, rischierebbe di venire in conflitto con altre esigenze pubbliche, e ciò perché gli edifici da demolire rappresentano una notevole percentuale del numero dei vani disponibili in Agrigento. D’altra parte non può non rilevarsi che tale sanzione non colpirebbe i trasgressori che hanno tratto un lucro dalla violazione delle norme ma gli acquirenti che, almeno nella maggior parte dei casi, non erano consapevoli di tali violazioni”. Martuscelli passa anche in rassegna l’esigenza di una generale modifica del regolamento edilizio e del programma di fabbricazione di Agrigento in attesa dell’adozione di un Piano Regolatore Comunale e, dettagliatamente, i divieti e le prescrizioni cui sottoporre la barbarie edilizia. Esamina ancora le sanzioni di tipo economico da comminare ai trasgressori, gli iter di accertamento di responsabilità amministrative o penali a carico dei funzionari pubblici e dei privati costruttori, l’inibizione per professionisti (alcuni dei quali riassumevano in una figura varie come quelle del proprietario, del progettista del costruttore, del direttore dei lavori e del politico) autori di progetti o direttori di lavori la cui esecuzione abbia prodotto violazioni gravi e sistematiche. Ma gli anni trascorsi dalla chiusura del testo Martuscelli ad oggi hanno registrato invece assoluzioni e non punizioni (emblematico il colpo di spugna del febbraio 1974 con cui tutti gli imputati vennero assolti dall’accusa di frana colposa, con formula piena, per non aver commesso il fatto!!!) o, ancora, questi anni, si sono impantanati nelle lentezze dell’agognato P.R.G.: ma certamente lo sviluppo edilizio agrigentino, pur nel perdurare del disordine, non ha avuto quegli esiti devastanti che sicuramente avrebbe assunto. Adesso si parla di ipotesi ardite come il “taglio dei palazzi” certo dal sapore apparentemente utopistico ma, forse, non del tutto se se ne conciliasse il principio alla “fisiologia delle cose”. Per l’appunto è del tutto fisiologico pensare all’”età media di sopravvivenza”, circa un secolo secondo opinioni diffuse, delle strutture in cemento armato come quelle dei tolli di Agrigento. Ragioni legate al progressivo depauperamento delle armature in ferro che privano di flessibilità le costruzioni assieme ai rigonfiamenti ed alle spaccature provocate dai processi di corrosione pongono una durata di vita alle strutture, in condizioni di salubrità, di circa cento o centoventi anni dopo i quali, inevitabilmente, si dovrà correre ai ripari con interventi di consolidamento o ricostruzione per evitare che tutto quanto venga giù. Se dunque anziché pensare ad una operazione di assestamento dell’esistente in funzione delle nuove tecnologie si optasse in futuro per una rimodulazione accorta degli spazi o ad una generale ridestinazione dei volumi abitativi (operazione in cui consiste forse quello che, simbolicamente, viene definito da molti come taglio dei palazzi”) chissà… forse si potrebbe ancora salvare il salvabile.
Dunque godetevelo, girgentani, questo sospiro che allieva paure e sgomenti sia per quel magro ma autentico centro storico che, grazie alla frana, non è andato perso del tutto e sia per quanto si potrà forse, in una prospettiva lunga e difficile, tentare di recuperare. Queste consapevolezze e queste speranze sono le stesse che vengon fuori dalle accorate conclusioni del documento Martuscelli, un messaggio di amarezza ma anche di rivalsa come quello che, permettetemi, viene fuori dall’animo mio… : “la commissione, nel rimettere gli atti, sente il dovere di segnalare […] la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese, che ha trovato in Agrigento la sua espressione limite. E non può, nel concludere, non auspicare che da questa analisi concreta parta un serio stimolo nel porre un arresto - deciso ed irreversibile – al processo di disgregazione e di saccheggio urbanistico. […] Se, da un serio esame della situazione di Agrigento potranno emergere, con l’ampliamento dell’orizzonte e con una precisa volontà operativa, atti concreti di progresso urbanistico, la frana di Agrigento non sarà soltanto ricordata come un evento calamitoso, che ha posto in luce gravi situazioni patologiche locali, ma potrà aprire un nuovo capitolo nella storia dell’intero paese”.
 
Si pensa di render cosa utile nel riportare l’indirizzo web http://architettura.unipa.it/lopiccolo/5/5.htm dove, chi fosse interessato o semplicemente solleticato, può trovare un cospicuo stralcio della “relazione Martuscellli”.
 
Angelo Cinquemani

 

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