QUANDO LE SPIE FANNO RIDERE di Vito Bianco
Submitted by Suddovest on Mon, 06/10/2008 - 21:57
Burn after reading. Spie come noi è il titolo dell'operetta irriverente con cui Ethan e Joel Coen tornano sugli schermi italiani, a quasi un anno da Non è un paese per veccchi, crudo referto sulle follie criminali in un'America che non ricosce più se stessa. Qui mettono mano alla spy story di ben collaudata tradizione e la mutano in una commedia degli errori e della stupidità; fanno irruzione nel meccanismo classico del film di spie e lo svuotano dall'interno, utilizzando gli ingranaggi per mettere in moto la loro ritmata satira politica con tocchi surreali.
La trama è un garbuglio di equivoci inverosimili che gira intorno a un floppy disk che dovrebbe contenere segreti scottanti ma nasconde solo futilità private di un ex agente della CIA con i nervi a pezzi (Malkovic) e una moglie fedifraga (T. Swinton). Le due spie per caso credono però di aver trovato un tesoro e, dopo un falllimentare tentativo di ricatto ai danni del legittimo proprietario, vanno all'ambasciata russa a proporre l'affare. Ovviamente, gli va male anche coi russi. Poi gli eventi precipitano e ci scappa il primo morto: il segreto è ridicolo, ma le pallottole sono vere.
I Coen si divertono un mondo a imbastire la loro gustosa parodia spionistica, che monta fluida tra malintesi e demenze fino ad esplodere in una bolla di sapone, in un nulla di fatto perfettamente riassunto dalla faccia tonta del funzionario dell'Agenzia che ne sa quanto i dilettanti avidi di denaro. Ma la parodia non è fine a se stessa, non si ferma al gioco arguto e sorprendente.
Come il precedente, anche questo è un film sull'America contemporanea. Cambia il registro, perchè questa è un'opera satirica sulla involontaria comicità degli apparati di sicurezza del potere politico. Potremmo dire: un'operettta morale sulla stupidità (delle spie e di chi dovrebbe amministrarle).
Il bersaglio principale dei due autori è la grottesca mitologia del segreto, l'alibi del potere per ogni illecita deviazione dalla regola della trasparenza, il sigillo sacro della ragione di stato. Purtroppo capita sempre più spesso che il segreto custodisca il vuoto. Joel Coen, che ha sutidiato Wittgenstein, forse ha avuto in mente la famosa ultima proposizione del Tractatus, quella che suggerisce di tacere su ciò di cui non è possibile parlare. Burning parafrasa il filosofo rovesciandolo; e infatti sostiene che su ciò che i governi non ci fanno sapere si può (si deve) parlare. Magari buttandola in commedia.
La trama è un garbuglio di equivoci inverosimili che gira intorno a un floppy disk che dovrebbe contenere segreti scottanti ma nasconde solo futilità private di un ex agente della CIA con i nervi a pezzi (Malkovic) e una moglie fedifraga (T. Swinton). Le due spie per caso credono però di aver trovato un tesoro e, dopo un falllimentare tentativo di ricatto ai danni del legittimo proprietario, vanno all'ambasciata russa a proporre l'affare. Ovviamente, gli va male anche coi russi. Poi gli eventi precipitano e ci scappa il primo morto: il segreto è ridicolo, ma le pallottole sono vere.
I Coen si divertono un mondo a imbastire la loro gustosa parodia spionistica, che monta fluida tra malintesi e demenze fino ad esplodere in una bolla di sapone, in un nulla di fatto perfettamente riassunto dalla faccia tonta del funzionario dell'Agenzia che ne sa quanto i dilettanti avidi di denaro. Ma la parodia non è fine a se stessa, non si ferma al gioco arguto e sorprendente.
Come il precedente, anche questo è un film sull'America contemporanea. Cambia il registro, perchè questa è un'opera satirica sulla involontaria comicità degli apparati di sicurezza del potere politico. Potremmo dire: un'operettta morale sulla stupidità (delle spie e di chi dovrebbe amministrarle).
Il bersaglio principale dei due autori è la grottesca mitologia del segreto, l'alibi del potere per ogni illecita deviazione dalla regola della trasparenza, il sigillo sacro della ragione di stato. Purtroppo capita sempre più spesso che il segreto custodisca il vuoto. Joel Coen, che ha sutidiato Wittgenstein, forse ha avuto in mente la famosa ultima proposizione del Tractatus, quella che suggerisce di tacere su ciò di cui non è possibile parlare. Burning parafrasa il filosofo rovesciandolo; e infatti sostiene che su ciò che i governi non ci fanno sapere si può (si deve) parlare. Magari buttandola in commedia.
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