IL TAGLIO DEI PALAZZI FUORI QUOTA? UN'IDEA DI FUTURO di Vincenzo Campo

Agrigento, ricordava Tano Siracusa da queste pagine in un intervento che mi pare eccezionale per forma e contenuti, divenne caso internazionale, fu l’emblema della dissennatezza del costruire a dismisura. Io non credo che Agrigento fosse stata più dissennata di qualunque altra città italiana, ma qui le contraddizioni esplosero in maniera più eclatante e con maggiore fragore.
Oggi non ci fa più impressione lo sviluppo verticale delle costruzioni, ci abbiamo fatto l’abitudine e ci pare normale, ma non lo era sul finire degli anni cinquanta e nei primi sessanta quando, ragazzino, guardavo con stupita ammirazione all’Empire State Building di New York e qui, in piccolo, più modesto ma su quel modello, a quello che conosciamo come palazzo Vita.
Era una vera sfida dell’uomo all’Onnipotente o forse un avvicinarsi a Lui, quel costruire verso il cielo e addirittura nel cielo; ma comunque la si voglia mettere, era per tutti, agli occhi di tutti, e quando dico tutti voglio dire proprio tutti-tutti, governanti e oppositori, conformisti e liberi pensatori, laici e clericali, liberali e comunisti, tutti–tutti, era progresso e sviluppo, emblema e compendio della rinascita economica del Paese. Qui come dovunque.
Sappiamo tutti, ma dimentichiamo, che la nuova Palermo, per dirne una, è cresciuta a dismisura, divorando ettari ed ettari di agrumeti; quei parallelepipedi enormi ai quali ci siamo perfettamente abituati sono stati costruiti a fianco delle bellissime ville e palazzine liberty, senza soluzione di continuità fino ad arrivare alle falde delle montagne che circondano a sud la Città e fino a Sferracavallo. Della Conca d’oro è rimasto qualche pezzettino proprio a ridosso delle montagne e l’oro delle arance è stato sovrastato dal grigio del cemento e dell’asfalto.
Come del resto questa stessa urbanizzazione è penetrata nelle brume del civilissimo settentrione d’Italia determinando situazioni in cui è ormai impossibile distinguere le municipalità che si susseguono per chilometri e chilometri senza soluzione di continuità.
Qui, ad Agrigento, la frana fece esplodere le contraddizioni; si cominciò a riflettere sulla struttura della Città, sulla conformazione del suolo e soprattutto sulla contiguità della Valle dei Templi. Ognuno di noi ora non esita definire scempio quello che fino a qualche tempo fa era viluppo e progresso, non c’è chi non veda che la corsa al più alto–più avanti ha determinato un’impenetrabile cortina che nasconde veri tesori dell’arte bizantina, chiaramontana, normanna e barocca. Lo stesso coro di prima, uniforme e senza distinzioni, per fortuna, non ha dubbi e critica quello che si è fatto.
L’esplosione delle contraddizioni, col conseguente blocco dell’edilizia, che era l’unica attività produttiva di rilievo, ha però determinato una vera e propria crisi economica e sociale.
L’intervento di Tano suggerisce ora un’ipotesi e una proposta che mi pare meravigliosa: così come Agrigento divenne la Città emblema dello scempio edilizio, così come allora indicò al resto d’Italia e forse anche al mondo intero quello che non si doveva più fare, così come seppe evidenziare in maniera concreta i rischi e i pericoli ai quali la costruzione sregolata e selvaggia portava, così come da Città modesta e di periferia finì col porsi al centro dell’attenzione del mondo intero, analogamente oggi, non più per caso o per il concomitare di circostanze e di casualità, ma per la volontà nostra di cittadini moderni e ragionevoli, deve porsi al centro dell’attenzione del mondo intero per la capacità di rimediare ai danni fatti. In questo non partiamo da zero: ripeschiamo il progetto dell’ingegnere Vincenzo Rizzo e assumiamolo quale nostro punto di partenza e argomento di discussione sul possibile risanamento della Città, che non è solo “valle” e “templi”.
È difficile. È di lungo percorso. È costoso. È... è tutto quello che vogliamo, ma è certamente possibile: sembrava impossibile costruire fino a lambire le nuvole e l’abbiamo fatto incuranti dell’arroganza della sfida all’Onnipotente; ora non deve sembrarci impossibile ridimensionare gli eccessi e tornare a farci modesti.
Un’altra sfida che, nella piena consapevolezza della sua difficoltà, potrebbe portare infiniti vantaggi ad Agrigento.
La prima conseguenza, ovviamente, sarebbe quella di restituire alla Città l’aspetto di Città che i tolli le hanno tolto; ritornerebbero visibili i mille e uno tesori che teniamo nascosti; si avvierebbe un processo virtuoso che inevitabilmente porterebbe lavoro e ricchezza; si porrebbero finalmente le solide basi perché la vocazione turistica agrigentina diventi effettiva sua pratica e ricchezza.
Ma prima ancora che questo si realizzi, già il solo dibattere dell’argomento, che involge e coinvolge questioni non soltanto urbanistiche o architettoniche ma anche filosofiche, sociologiche e ambientalistiche; il valutarne la fattibilità concreta e gli effetti del progetto; lo studiarne attentamente e in concreto tutte le conseguenze, positive e negative, se ne avremo la capacità e se lo vorremo, porteranno la Città al centro dell’attenzione dell’intera comunità internazionale, così come fu per la frana –indipendentemente forse contro la nostra volontà, allora.
Un sogno. Può darsi. Ma un sogno nel quale s’innesta quell’altro che vede Agrigento non più alla periferia dell’Occidente, ma al Centro del Mediterraneo, in una civiltà nuova che, lo vogliano o non i potenti del mondo, si va ridisegnando a causa delle inarrestabili e sacrosante migrazioni dei popoli “altri”. Ma un sogno resta tale solo se assolutamente impossibile o se non si fa nulla per realizzarlo e del resto tutte le realizzazioni sono state prima de sogni, più o meno arditi.
Una sfida. Qui, fino ad ora, le cose sono successe, sono accadute e poi noi ci siamo adattati; facciamo ora sì che le cose succedano e accadano come noi vogliamo senza doverci poi adattare ad esse.
 
categorie: