PD, RIPARTIRE DA AGRIGENTO SENZA ANATEMI NE' SCISSIONI di Benedetto Adragna

Finalmente! Ho seguito con interesse ed attenzione il dibattito che Suddovest ha innescato nell'ambiente politico agrigentino: più volte sono stato citato, qualche altra ''sottinteso'', ma, comunque, frequentemente inserito nella disputa politica con alterne considerazioni, secondo lo stato d'animo e forse l'umore dei diversi e preparati autori.

Al Direttore, credo, farà piacere sapere che questo “chiacchiericcio“ mediatico sta diventando un appuntamento stabile oltre che dei lettori (come me cibernauti), anche degli addetti ai lavori (come me politici), tanto è vero che in Parlamento circolano, da qualche tempo, stampati, gli articoli pubblicati dalla sua rivista. (Scusi per la s di sua minuscola per non incorrere in argomentate sottolineature critiche psicoletterarie).  
Mi sembra appropriata la parola “innescare“ riferita al dibattito in corso ad Agrigento sul futuro del Partito democratico, anche se tutti siamo convinti che la miccia sia a corda lunga e prima che faccia esplodere l’agognata “rivoluzione culturale, che cambi il modo di fare politica, occorrerà creare le condizioni che rendano possibile e praticabile la voglia di partecipare di tantissimi giovani e donne fino ad ora spettatori disinteressati… molti purtroppo, anche disinformati.  
 
Inizio questa nota con la parola “ Finalmente “ dopo aver letto l’articolo di Giovanni di Girgenti, “La prescindibile leggerezza del PD. Per un ricominciamento”.
Sino ad oggi, leggendo i numerosi contributi che
Suddovest ha via via pubblicato sull’argomento (Tano Siracusa: Il futuro del PD: cambiare il libro, non girare pagina; Mimmo Ferraro: Il PD dopo le amministrative; Antonino Cuffaro: Proposte nuove per Agrigento), ho avuto quasi la sensazione che io non potessi partecipare a questo nuovo progetto.
Avevo due sole opzioni, a leggere le riflessioni dei nostri amici, di cui solo la prima chiaramente espressa da Tano Siracusa:
1) ritirarmi, e in quel caso, bontà sua, avrei – forse e a gentile richiesta - avuto l’onore delle armi;
2) oppure resistere …. ed in quel caso – probabilmente - sarei stato passato per le armi ! 

 
Scrive Tano Siracusa che “… due sono infatti i possibili itinerari del PD: il primo è quello di una sua sopravvivenza legata alla sopravvivenza dei vecchi gruppi dirigenti e delle loro parole, l’altro è quello di un partito che cambia lessico per tornare ad abitare un presente denso di incognite e di scenari inesplorati con l’ambizione di governarlo“.
Alla seconda categoria Siracusa iscrive l’esperienza di Giandomenico Vivacqua il quale, a suo giudizio, è stato capace di avviare in questi mesi
“…una riflessione sul linguaggio, sull’usura del lessico novecentesco, che può costituire un utilissimo strumento di orientamento in quel porto delle nebbie che è oggi la sinistra “.
Pertanto chi risulterebbe incapace di accreditarsi come portatore di un nuovo
“linguaggio“ si ritroverebbe collocato, irrimediabilmente, in un vecchio porto pieno di umida ed appiccicosa nebbia. 
Ma a leggere Siracusa esiste una pur tiepida giustificazione: “... sarebbe ingenuo e forse anche ingeneroso addebitare ai Fassino, ai Boselli, ai Prodi, oppure ai Capodicasa, agli Adragna, agli Arnone, ai loro ‘errori’ politici, l’attuale profonda crisi della sinistra in Italia e in Sicilia. E Bertinotti e la sinistra radicale, allora? E in Provenza, in Catalogna, in Baviera?“
Ma pur ritenendo ingeneroso imputare all’attuale classe politica la profonda crisi della sinistra, Siracusa non perde la battuta per un pesante affondo:
“Una storia, un ciclo si sono probabilmente chiusi e i gruppi dirigenti … non possono oggi che riconoscere la loro sconfitta e uscire dalla scena. Anche con dignità, perfino con l’onore delle armi se lo chiedono… l’onore delle armi, dunque, se lo chiedono. Ma poi – conclude - uscire dalla scena di una storia che è intanto troppo cambiata, che non è più quella che le loro parole descrivono … Quattro, cinque anni di opposizione sono un tempo ragionevole per tentare di avviare un ricominciamento della sinistra: sul piano delle idee, dei linguaggi, delle esperienze, ma anche su quello degli uomini e delle donne che lo devono costruire. Capiremo presto, a Roma, a Palermo, ad Agrigento, se, dentro e fuori il PD, chi ci vuol provare sarà messo nelle condizioni di farlo. “ 
 
Accanto a Tano Siracusa altri hanno tentato una più concreta analisi delle dinamiche politiche all’interno del centrosinistra e del Partito democratico nella nostra provincia e, conseguentemente, delle proposte più realisticamente praticabili nel presente :
scrive, infatti, Mimmo Ferraro che “… pur condividendo buona parte del pezzo apparso su Suddovest.it di Tano Siracusa… non condivido lo schematismo forse ormai obsoleto di destra, di sinistra, di moderatismo e quant’altro anche se è visto in senso decisamente critico. La scommessa del Pd è quella di essere il partito del Riformismo Italiano. Certo l’allargarsi della "platea" delle nuove povertà parrebbe imporre una rinnovata necessità di "sinistra" intesa nel senso delle conquiste sociali del secolo scorso. Il mondo, però, è cambiato. Il ceto produttivo, ovvero gli imprenditori, è una delle facce di una società industrializzata ed è parte integrante del tessuto sociale dove il riformismo deve fare i conti senza metterlo ai margini e senza vederlo come "razza padrona" da demonizzare, per dirlo con un anacronistico modo di dire della sinistra radicale e per di più decisamente datata”. 
 
Il Pd, secondo Ferraro, si pone questo obiettivo, e probabilmente i personaggi politici nazionali, regionali e provinciali – citati anche da Tano Siracusa - non sono adeguati alla bisogna. 
 
Ma, prosegue Ferraro, non si possono mettere ai margini tutti assieme: “Basta però che i D'Alema, i Bindi, i Rutelli, i Genovese, i Lumia, i D'Antoni, i Capodicasa, i Panepinto, gli Adragna si cambino di abito e reinterpretino il loro modo di far politica. Ritengo che siano attrezzati culturalmente, almeno molti di loro, per farlo, anche se uno sforzo per adeguarsi devono pur attuarlo“. 
 
Ad onor del vero, tutti quanti con lo stesso auspicio: “... c'è molta aspettativa tra la gente per il Partito Democratico, ma anche tanta diffidenza non solo verso il nuovo soggetto che stenta a prendere una forma definitiva, ma verso la politica tout cour. Nessuno demonizza le "correnti", ma saranno, persino, salutari in un soggetto politico così plurale, a patto che siano delle opzioni culturali nate dopo il rimescolamento di Bersani. Concetto che hanno fatto proprio diverse personalità alla recente assemblea di Roma“. 
 
Finalmente Giovanni Di Girgenti ci ricorda che “L’ulivo si distingue dall’olivastro perché subisce innesti e potature” e come lui stesso riconosce “nel simbolo del PD e’ rimasto qualcosa dell’ulivo“
 
Io mi rendo conto delle aspettative che hanno alcune personalità della cultura agrigentina, intellettuali della sinistra di ieri che non si ritrovano nel linguaggio di oggi; aspettative che per diventare vera e concreta realtà nutrono l’esigenza di un “nuovo” radicale che sappia cogliere, a partire dal linguaggio, le finalità della sinistra che purtroppo per loro oggi è sempre più benvoluta come “riformista“ e non certo come oltranzista.
Voglio però subito rispondere all’interrogativo posto da Giovanni da Girgenti:
  1. la distanza che esiste tra me e Capodicasa e tra me e Peppe Arnone è certamente comunque minore di quella che mi separa dal fronte del centrodestra !  
  2. la Sicilia che voglio, credo possa trovare insieme ad altri, che hanno una diversa provenienza culturale, una connotazione di uguale opportunità tra i generi, di costruzione, di sviluppo che crei occupazione stabile e non più precaria, e che attraverso l’annientamento della mafia e della mafiosità generi speranza per i giovani, per l’impresa e per gli Ultimi dando a questi l’opportunità di partecipare essi stessi alla Politica;  
  3. certamente lo stile, il metodo e gli obiettivi devono essere quelli che partono dalla democrazia partecipata dal basso, delle primarie, per intenderci, e che definiscono come condizione prioritaria trasparenza e competenza tale che potrà consentirà agli elettori di trovare , oltre che nel merito, attraverso i programmi, anche nel modo di fare politica la risposta ai problemi del territorio.
Il Pd deve contribuire a ridare equità e punti di riferimento alla società e per fare questo deve interessarsi dei fondamenti della società: persona e famiglia. 
 
Ma che futuro possiamo costruire con famiglie che non ce la fanno, con genitori disoccupati, con segnali chiari di disintegrazione del patto sociale ed educativo che ormai sono ovunque?
La persona deve tornare a stare al centro dell’interesse e dell’attenzione della comunità e quindi dello Stato.
E allora va bene pensare a mettere mano ai servizi, a liberalizzarli ma non solo per risparmiare (quando accade…), piuttosto anche per rendere migliori i servizi stessi.
Una proposta politica non è un casting di “prime donne” : interpretare i segni dei tempi, indicare un approdo. Altrimenti rischiamo che anche ai valori del progetto e della proposta si applichino i principi della moda.
Voglio aggiungere che è necessario mettere su una Scuola di formazione politica per eliminare prima possibile l’ignoranza che oggi, avverto, esiste tra i giovani.
Far loro comprendere che è solo attraverso la conoscenza dei meccanismi istituzionali e delle varie responsabilità che possono partecipare attivamente per diventare essi stessi classe politica. Facciamo in modo che possano comprendere meglio.
Ecco perché ritengo importante partire da Agrigento con il piede giusto e con giuste motivazioni; ignorando chi tende a dividere con il solo obbiettivo di avere più spazi a disposizione ed isolando chi addirittura propone anatemi e scissioni solamente perché ha una visione personalissima della politica che non ritiene emendabile da alcuno.
Per quanto mi riguarda io continuerò la mia strada insieme ai tantissimi che hanno a cuore questo Partito Democratico: quello di Marini e Veltroni, di Fioroni e D’Alema, di Franceschini e la Bindi. 
 
La consapevolezza dell’importanza della richiesta che Veltroni, Marini e la Finocchiaro hanno fatto al Gruppo del PD del Senato proponendomi come Senatore Questore; i 116 senatori che a scrutinio segreto in Aula mi hanno votato; le attestazioni di stima che ho ricevuto nelle manifestazioni in cui, rappresentando il Senato, ho accompagnato il Presidente della Repubblica Napolitano, ti da fiducia. 
 
Sono fatti che mi hanno caricato di grande responsabilità, onere che ho cercato di ripagare sin da subito, proponendo e realizzando una serie di decisioni che, senza soluzione di continuità con l’opera del Presidente Marini tendono ad abbassare notevolmente i costi della politica.
E per tali scelte ho ricevuto pubbliche positive considerazioni da testate giornalistiche nazionali sicuramente qualificate come
Il Sole 24 ore, La Repubblica, Il Corriere della Sera
 
L’iniziativa di pochi giorni fa, con la presentazione del mio disegno di legge per la partecipazione dei lavoratori nella proprietà delle aziende che ha visto relatori Tiziano Treu, Luca Volontà, Gianfranco Fini, Maurizio Sacconi e Raffaele Bonanni in un Forum organizzato da Antonio Polito, direttore del quotidiano Il Riformista, mi ha ancora di più convinto che oggi il mio ruolo di legislatore può servire a dare forza e sostegno ai lavoratori pubblici e privati, cosi come ieri da dirigente sindacale. 
 
Certo, il lavoro che abbiamo davanti a noi ci pone come obbligo quello di non disperdere il consenso che abbiamo ricevuto in queste ultime elezioni, quello vero, fatto di voti elettorali, e quindi abbiamo l’ultima possibilità di provare a ragionare… insieme. 
 
Ancora una volta eliminando i rancori e le ragioni di chi ha sbagliato …dopo, poiché anche se c’è uno che ha sbagliato … prima non serve perpetuare la “Guerra dei Roses“.
Per intenderci quella di Michael Douglas e Kathleen Turner, finiti appesi ad un lampadario senza alcuna possibilità di scampo. 
 
Ecco, mi viene difficile pensare a Capodicasa e Arnone in quella stessa posizione
 
Li ritengo, insieme ad altri, in grado di capire che se ad Agrigento, tutti insieme, non abbiamo consentito al centro destra di vincere a primo turno, sia al comune che alla provincia, qualcosa gli elettori ci hanno detto. 
 
Allora, caro Giovanni Di Girgenti, costruiamo il PD agrigentino, tutti insieme, ovviamente quelli che ci stanno e che dichiarino di rispettare le regole nazionali e quelle che ci daremo nel nuovo statuto del PD siciliano. E mi piacerebbe che nel circolo che stiamo realizzando nella città di Agrigento, mi ritrovi accanto non solo persone come Piero e Totò Luparello, Paolo Minacori, Giovanni Traina, Angelo Vullo, Roberta Tuttolomondo che si ritrovino con i Piero Mirotta e Maurizio Bonomo, Dario Incorvaia e Mariuccia Arnone, Sabrina Sammartino e Gigi Restivo, Manlio Cardella, Masino Carlisi e Zina Contino, Luigi Carbone e Tonino Migliaccio, Filippo Tascarella e tantissimi altri. Ma mi piacerebbe trovare anche Lei, caro Giovanni (mi scuso stavolta per la L maiuscola e al diavolo le critiche psico letterarie) perché dalle cose che ha scritto credo ci sia tanto di quel buon senso ed intuito che è possibile osare sperare.
 

 

categorie: