GESTIRE IN MODO DIVERSO L'IMMIGRAZIONE di Jean Anatole Sabw Kayang* e Antonio Scilabra**
Submitted by Suddovest on Sun, 06/07/2008 - 00:37
Ormai da qualche mese il problema sicurezza è diventato un “cavallo di battaglia”, uno strumento, un obiettivo, uno dei primi, della lunga lista dei problemi che l’Esecutivo intende affrontare .
Il “pacchetto sicurezza”, di cui sentiamo abbondantemente parlare, riporta dei contenuti che esulano qualsiasi logica comune, ancorché il senso cristiano.
Basti pensare al reato di immigrazione clandestina, all’adozione, di maniere più restrittive per il ricongiungimento familiare, all’estensione a 18 mesi del periodo di reclusione nei CTP.
Ma il Governo non finisce di sorprenderci e il Ministro Maroni lancia un’ indecente proposta nei confronti dei Rom. Si tratta di una “raffica” di provvedimenti che piuttosto che affrontare in modo sistematico i problemi, non fa altro che acuire ed esasperare questioni che vanno affrontate in modo meno superficiale e più realistico.
La Caritas e l’Ufficio Migrantes gridano la propria contrarietà a tutto questo ed in primis ad un atteggiamento che esula da ogni principio cristiano solidaristico ancorché di ragionevole e laica gestione del fenomeno dell’immigrazione.
L’immigrazione è iscritta strutturalmente nella storia dei popoli e non può essere fermata, ne ostacolata da queste misure che sono indefinibili, in quanto non configurabili come misure di prevenzione ne di repressione.
Sembrano più essere state pensate e varate all’interno di un disegno misero ma strategico di tenere “a bada” quella parte di italiani che vogliono sentirsi dire queste cose.
Provvedimenti che realisticamente non possono avere debito riscontro e che hanno come presupposto di base l’idea che ad ogni clandestino corrisponda un criminale.
La prospettiva auspicata nell’affrontare la questione immigrazione non può prescindere dal binomio accoglienza- sicurezza; il mondo cattolico non ha mai perso tempo a parlare di accoglienza buonista, ha invece cercato, anche a livello locale , la collaborazione con gli enti pubblici e le forze dell’ordine. I criminali vanno perseguiti ma la maggior parte degli immigrati è costretto a lasciare la propria terra, i propri affetti per salvarsi la vita, per cercare una migliore opportunità di sopravvivenza.
Dell’immigrazione non vengono quasi mai esaltati i risvolti positivi per il nostro Paese; migranti significa anche forza fisica, resistenza indispensabile alle catene di montaggio, ai cantieri navali, significa assistenza a domicilio ad anziani o a persone in precario stato di salute, significa evitare che questi trascorrano gli ultimi giorni di vita in ospedale o in ospizio. E poi ancora chi cucina, chi lava, chi accudisce i bambini o anziani per permettere di lavorare tranquillamente fuori casa, garantendo le necessarie entrate per la famiglia?
Senza la forza lavoro immigrata il nostro “cantiere economico” andrebbe in tilt colpendo una coalizione trasversale.
Ci troviamo di fronte ad una strumentalizzazione politica dell’immigrazione che vede gli immigrati diventare ostaggio di una politica e di una informazione faziosa che preferisce accentuare e generalizzare gli aspetti critici e problematici del fenomeno, piuttosto che valorizzare i punti di forza, con il rischio di consolidare nell’opinione pubblica una percezione negativa del migrante. Forse è il caso che il Governo si concentrasse sull’elaborazione e l’implementazione, nel senso della”applicazione” di politiche dell’integrazione di cui il nostro Paese è assolutamente carente, che tengano conto della significativa percentuale di cittadini immigrati che hanno problemi con la giustizia, spesso persone su posizione irregolare e per di più condannate per reati di lieve entità, di contro gli immigrati regolari delinquono percentualmente meno degli italiani.
Integrazione è la parola chiave che sottintende in primis per l’accoglienza.
Noi lo sperimentiamo quotidianamente come diocesi, essendo in primo luogo coinvolti al momento dell’arrivo a Lampedusa, porta di ingresso per molti sfortunati che scelgono una via obbligata, quella del mare, per varcare le frontiere e che spesso non portano a termine il loro progetto di salvezza.
Ci piace chiudere questo intervento con alcune parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita al Parlamento Italiano del 14- 11- 2002:
“…seguendo con attenzione amica il cammino di questa grande Nazione sono indotto a ritenere che, per meglio, esprimere le sue doti caratteristiche, essa abbia bisogno di incrementare la sua solidarietà e coesione interna … la via che consente di mantenere e valorizzare le differenze, senza che queste diventino motivi di contrapposizione ed ostacoli al comune progresso, è quella di una sincera e leale solidarietà.
…Le sfide che stanno davanti ad uno Stato democratico esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, indipendentemente dall’opzione politica di ciascuno, una cooperazione solidale e generosa all’edificazione del bene comune della Nazione” .
Ciò si impone se non vogliamo finire con l’essere una “piccola” Nazione.
Il “pacchetto sicurezza”, di cui sentiamo abbondantemente parlare, riporta dei contenuti che esulano qualsiasi logica comune, ancorché il senso cristiano.
Basti pensare al reato di immigrazione clandestina, all’adozione, di maniere più restrittive per il ricongiungimento familiare, all’estensione a 18 mesi del periodo di reclusione nei CTP.
Ma il Governo non finisce di sorprenderci e il Ministro Maroni lancia un’ indecente proposta nei confronti dei Rom. Si tratta di una “raffica” di provvedimenti che piuttosto che affrontare in modo sistematico i problemi, non fa altro che acuire ed esasperare questioni che vanno affrontate in modo meno superficiale e più realistico.
La Caritas e l’Ufficio Migrantes gridano la propria contrarietà a tutto questo ed in primis ad un atteggiamento che esula da ogni principio cristiano solidaristico ancorché di ragionevole e laica gestione del fenomeno dell’immigrazione.
L’immigrazione è iscritta strutturalmente nella storia dei popoli e non può essere fermata, ne ostacolata da queste misure che sono indefinibili, in quanto non configurabili come misure di prevenzione ne di repressione.
Sembrano più essere state pensate e varate all’interno di un disegno misero ma strategico di tenere “a bada” quella parte di italiani che vogliono sentirsi dire queste cose.
Provvedimenti che realisticamente non possono avere debito riscontro e che hanno come presupposto di base l’idea che ad ogni clandestino corrisponda un criminale.
La prospettiva auspicata nell’affrontare la questione immigrazione non può prescindere dal binomio accoglienza- sicurezza; il mondo cattolico non ha mai perso tempo a parlare di accoglienza buonista, ha invece cercato, anche a livello locale , la collaborazione con gli enti pubblici e le forze dell’ordine. I criminali vanno perseguiti ma la maggior parte degli immigrati è costretto a lasciare la propria terra, i propri affetti per salvarsi la vita, per cercare una migliore opportunità di sopravvivenza.
Dell’immigrazione non vengono quasi mai esaltati i risvolti positivi per il nostro Paese; migranti significa anche forza fisica, resistenza indispensabile alle catene di montaggio, ai cantieri navali, significa assistenza a domicilio ad anziani o a persone in precario stato di salute, significa evitare che questi trascorrano gli ultimi giorni di vita in ospedale o in ospizio. E poi ancora chi cucina, chi lava, chi accudisce i bambini o anziani per permettere di lavorare tranquillamente fuori casa, garantendo le necessarie entrate per la famiglia?
Senza la forza lavoro immigrata il nostro “cantiere economico” andrebbe in tilt colpendo una coalizione trasversale.
Ci troviamo di fronte ad una strumentalizzazione politica dell’immigrazione che vede gli immigrati diventare ostaggio di una politica e di una informazione faziosa che preferisce accentuare e generalizzare gli aspetti critici e problematici del fenomeno, piuttosto che valorizzare i punti di forza, con il rischio di consolidare nell’opinione pubblica una percezione negativa del migrante. Forse è il caso che il Governo si concentrasse sull’elaborazione e l’implementazione, nel senso della”applicazione” di politiche dell’integrazione di cui il nostro Paese è assolutamente carente, che tengano conto della significativa percentuale di cittadini immigrati che hanno problemi con la giustizia, spesso persone su posizione irregolare e per di più condannate per reati di lieve entità, di contro gli immigrati regolari delinquono percentualmente meno degli italiani.
Integrazione è la parola chiave che sottintende in primis per l’accoglienza.
Noi lo sperimentiamo quotidianamente come diocesi, essendo in primo luogo coinvolti al momento dell’arrivo a Lampedusa, porta di ingresso per molti sfortunati che scelgono una via obbligata, quella del mare, per varcare le frontiere e che spesso non portano a termine il loro progetto di salvezza.
Ci piace chiudere questo intervento con alcune parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita al Parlamento Italiano del 14- 11- 2002:
“…seguendo con attenzione amica il cammino di questa grande Nazione sono indotto a ritenere che, per meglio, esprimere le sue doti caratteristiche, essa abbia bisogno di incrementare la sua solidarietà e coesione interna … la via che consente di mantenere e valorizzare le differenze, senza che queste diventino motivi di contrapposizione ed ostacoli al comune progresso, è quella di una sincera e leale solidarietà.
…Le sfide che stanno davanti ad uno Stato democratico esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, indipendentemente dall’opzione politica di ciascuno, una cooperazione solidale e generosa all’edificazione del bene comune della Nazione” .
Ciò si impone se non vogliamo finire con l’essere una “piccola” Nazione.
Direttore Ufficio Migrantes Direttore Ufficio Caritas
P. Jean Anatole Sabw Kayang* Sac. Antonino Scilabra**
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