IL VESCOVO E IL MINISTRO di Davide Natale

C’è un gran parlare, in questi caldi ed umidi giorni d’inizio estate, dell’orgoglio agrigentino.
Si ode, tanto a destra quanto a manca, un gran dire, un gran vociare, un sottofondo verbale condito di sorrisi e pacche sulle spalle, di teste che si chinano ritmicamente e ripetuti e cassandrici “Te lo avevo detto che avrebbe fatto strada...”, “Si sapeva che era bravo...”, “è preparato, è molto preparato...”, ma anche, di controcanto “di preparato è preparato, ma…”, “beh, dopo anni e anni di…”. Ed infine funambolici, quanto iperbolici “Ma quanto è beddu, tutto a suo papà…”.
Anche su questa rivista si è letto dell’evento, e lo si è accolto con gaudio (o quasi).
Insomma: Agrigento, inteso come territorio provinciale, ha dato i natali all’attuale ministro della Giustizia dell’ancora più attuale governo Berlusconi, e la cittadinanza, tutta, non può che esserne fiera, lusingata, orgogliosa.
Bene. Fin qui, stante così le cose, o cosette, o cosucce, sembra quasi normale, forse esatto, in pratica umano. L’attuale Guardasigilli è l’On. Angelino Alfano, che è agrigentino, che noi tutti ricordiamo, chi all‘asilo, chi al liceo (me compreso), chi in via Atenea, chi in bicicletta sulle terrazze del lungomare di San Leone, chi negli studi di Teleacras, chi in spiaggia a prendere il sole. È agrigentino, lo si conosce, lo si può fermare, è possibile persino guardarlo da vicino, addirittura può accadere di stringergli la mano o, speranza indicibile ma presente, domandargli qualcosa “che ne so, è ministro, non si sa mai…”.
Detto questo, che è l’evento da giornale estivo, bibitone in spiaggia e chiappe al vento, mi va di dire due cose, con buona pace degli agrigentini, e che il Ministro “non ce l‘abbia a male”:
L’attuale Guardasigilli, nell’espletamento del suo lavoro, siede al fianco (gli è collega all’interno dell’esecutivo), di chi vuole operare una schedatura, immolandola sull’altare della cosiddetta sicurezza, e attraverso la raccolta delle impronte digitali, di una etnia dell’Europa, quella Rom, e peggio dei suoi più piccoli rappresentanti, i bambini, che solo a scriverlo, vi giuro, provo tenerezza.
Quei bambini, ha ricordato bene Adriano Prosperi, che “Criminali si nasce, non si diventa… La sua è una razza degenerata…lui non lo sa, ma noi sì…”.
 
Ma a proposito di altari, questa volta sacri, e sacri per davvero, nel suo discorso di insediamento, Sua Eccellenza il Vescovo di Agrigento, mons. Montenegro ci ha sferzato dicendo che la nostra è una terra benedetta perché ci da l’opportunità di accogliere i disperati del mondo, e per l’accoglienza, ci ha ancora suggerito, è necessario attrezzarsi.
 
Un desiderio ed una paura. Il primo, che da irrefrenabile laico quale sono possiede, per me, il dono della conversione, avverte che, l’agrigentino uomo di chiesa e l’agrigentino uomo di stato si incontrino quanto prima, e che il primo illumini la mente del secondo. L’uomo di chiesa, infatti, ci ha dimostrato, fin dalle sue prime parole, di essere, straordinariamente, illuminato.
La paura risiede nella possibilità che un giorno un popolo, credendosi e definendosi migliore di un altro, raccolga le impronte degli abitanti di una città, (Agrigento?), per il solo fatto che un ministro della Repubblica, nato in quella cittadina non si oppose, potendolo, ed anche pubblicamente, all’abominio perpetrato da un suo collega di governo, nato, cresciuto e vissuto all’ombra della nebbia e del freddo, lontano dal sole, dalla calura e dal mare mediterraneo. Ma soprattutto perché nessuno dei suoi concittadini gli disse, un lontano giorno, che avrebbe potuto, il Ministro, dire e fare qualcosa. Avrei provato orgoglio di avere, in seno al Governo della Repubblica italiana, un ministro agrigentino.
Lo so, lo so bene, che non si dice: “te lo avevo detto che…” ma, nel frattempo, io l’ho detto.
 
E che Iddio, Sua Eccellenza e, in ultimo, l’uomo di stato non mi destinino rancore.
Sapendo, ovvio, che sui primi due non posseggo dubbio alcuno.
 
 

 

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