LA QUIETE CHE SA DI RESA di Pietro Baiamonte
Non arrivano segnali distensivi dal governo centrale; tutt’altro: il premier è nuovamente impegnato in una campagna contro il nemico di sempre, quei magistrati che, a suo dire, hanno abiurato l’essenza del loro impegno pubblico per accanirsi contro le sue ricchezze e la sua persona. Cade la maschera, diceva ieri Ezio Mauro dalle pagine de “la repubblica”, si esaurisce il tempo del dialogo contro questo nuovo steccato, vecchio steccato, che si vuole imporre tra le istituzioni. Sed rebus parvis licet indulgere, quando le piccole storie di provincia assumono dei significati validi oltre i loro confini, quando offrono chiavi di interpretazione di una realtà più ampia. Il dottor D’Orsi è il nuovo presidente della provincia: ha convinto più del 67% degli elettori, che si immaginano liberi da qualunque forma di ricatto, brandendo la ragione di una continuità tra i governi nazionale, regionale e provinciale; nonché municipale, aggiungiamo noi, da che Marco Zambuto, il sindaco del volo al di sopra dei partiti, come dire delle nuvole che offuscano il libero dispiegarsi della volontà comune, che impediscono al lume della ragione civile di guidare le prassi amministrative, ha chiesto ed ottenuto la protezione all’ombra di uno dei partiti di maggioranza del centro destra. Nulla di nuovo sotto il sole, se il sole, quello metaforico dico, il simbolo appunto della ragione, fosse ancora visibile nelle nostre uggiose, politicamente uggiose, contrade. Il cerchio dunque è concluso, perfetto: e ciò dovrebbe finalmente tranquillizzarci: nessun dissapore tra le declinazioni geografiche del Potere potrà frapporsi al raggiungimento degli obiettivi, che furono offuscati anch’essi, durante la campagna elettorale, dalle ragioni della polemica, e che la nuova amministrazione provinciale si propone nel bene della comunità, si spera. Li vedremo farsi, divenire atti al momento della loro stessa pronuncia dalle bocche dei loro demiurghi. Il potere della parola! Ma se i primi atti del governo centrale vanno nella consueta direzione dell’interesse privato, se, accantonato il problema del lavoro, delle morti bianche, delle difficoltà reali, e percepite, di raggiungere la fine del mese da parte della maggioranza degli italiani (quella stessa maggioranza che ancora si inebria del prodigio absconditum, rimandato a tempi migliori dal Demiurgo di Arcore, e dai suoi numerosi discepoli nelle provincie italiane) si apre un nuovo conflitto tra magistrati ed esecutivo, in barba agli smottamenti democratici verso una nuova, vecchia, impronunciabile, forma di governo, convogliando energie, tempo e denaro in questa privata battaglia, che nulla ha a che fare con i destini riuniti sotto una nazione, non c’è davvero di che essere ottimisti. Avrà interrogato queste livide nubi e tratto responsi il nostro nuovo Presidente della Provincia? Era la migliore delle condizioni possibili, per la nostra provincia arrancante, esausta, quella che lega i suoi destini al Potere centrale e regionale? I segni di un certo disinteresse per le sorti della nostra provincia certo non erano mancati (come ad esempio lo scippo dei fondi per ampliare le strada che congiunge Agrigento a Caltanissetta). Al tempo il suo insindacabile giudizio, sine ira et studio.
Ma, intanto, c’è da chiedersi cosa irretisce la maggioranza degli elettori, più del 67% ribadiscono i numeri, nell’attesa spasmodica di un nuovo miracolo che apra i cieli e doni, come nel deserto la manna, lavoro, benessere, sicurezza e quiete. Forse la chiave d’interpretazione è custodita proprio dall’ultima parola: la quiete. Legittima aspirazione in sé, quella verso la quiete, pubblica e privata, che però diviene pericolosa per le Istituzioni democratiche e controproducente ai fini del raggiungimento del bene comune, quando è il segno di un’ ampia, diffusa abdicazione e di una invincibile resa: ciò permette che si disveli, nei modi e nelle parole di chi, per legittima volontà del popolo, si assume le responsabilità della guida, il piglio dell’usurpatore, e nelle manifestazioni di giubilo dalla parte dei vincitori, le note del triste ossequio del mancipio.
È giunto il momento di interrogarci, tutti, di fronte alle responsabilità che, come cittadini, ci chiamano ad un impegno che dobbiamo assolvere, che ci vuole protagonisti attenti e consapevoli nella gestione della cosa pubblica: lasceremo ancora fare, alzando le spalle dietro le trite parole “che se la vedano loro”, come se la politica fosse affare di altri, cosa loro, e non ci riguardasse, in nome di quella quiete agognata, ignorando ancora i pericoli che una tale scelta rende imminenti, ed i cui segni sono oggi ben visibili, o, fedeli alla nostra misconosciuta Costituzione, che ci investe della piena sovranità, decideremo di assumerci, sovrani, le responsabilità a cui, come cittadini, siamo vincolati?
Nelle parole di un ragazzo di tanti anni fa la risposta, credo, più vera.
“ […] nel desiderio invincibile di “quiete”, anche se laboriosa, è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent’anni da ogni lato, è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della “sporcizia” della politica. […] ci hanno detto che la politica è lavoro di “specialisti”. […] credetemi, la cosa pubblica è noi stessi”
Il dieci novembre del 1944 Giacomo Ulivi veniva fucilato sulla Piazza Grande di Modena, alle dieci del mattino, insieme ad Alfonso Piazza e ad Emilio Po. Aveva diciannove anni.