UN MATTINO AD AGRIGENTO, A PREGARE PER 12 POVERI CRISTI di Onofrio Dispenza
Submitted by Suddovest on Fri, 13/06/2008 - 19:03
Il mare è laggiù, quel Mediterraneo che è madre, culla e sudario. Attorno, la campagna ha già i colori dell'estate siciliana. C'è vento, e tutto fa pensare a quelle terre di là, sull'altra sponda, da dove questi 12 Cristi (come si dice da queste parti) sono partiti. Cimitero di Piano Gatta, Agrigento: si seppelliscono 12 dei tredici immigrati morti annegati mentre tentavano di arrivare in Italia. Un rito già visto, che si ripete, che si mette nel conto. La tredicesima vittima verrà sepolta in un paesino poco distante, Comitini, paese di minatori, di "carusi", quei bambini nudi che lavoravano fianco a fianco coi padri nelle viscere della terra, per lo zolfo. E morivano, padri e carusi.
Qui, sulle bare un foglio di carta numerato, da uno a dodici. Non hanno nome, erano irriconoscibili.
''A volte capita che si riesca a dare il nome a qualcuno di loro - dice un addetto alle sepolture - capita anche che torni in patria, ma è raro''. Tutti gli altri, in questa terra di vecchia e nuova emigrazione, hanno sempre un gesto di pietas, un mazzo di fiori. Così anche questa mattina. C'è il sindaco della città, con la fascia tricolore, quella di questa Italia che è sogno di tanti disperati, c'è l'Imam della città che prega e ricorda che Allah è grande, che il Dio unico di tutti gli uomini, bianchi, neri o gialli, è grande, ha le braccia immense, capaci di abbracciare ed accogliere tutti, senza distinsione.
''Questa è terra di frontiera, di solidarietà e di accoglienza - ricorda il sindaco, Marco Zambuto - è terra che conosce quanto sia duro cercare il lavoro, partire per il lavoro, sdradicare famiglie per il lavoro''.
La preghiera dell'Imam è finita. Passa le mani sul viso, una carezza che segna sempre la fine della preghiera, l'amen dei cattolici. L'accompagna il segno della croce di chi gli sta accanto. Una ad una le bare trovano la loro nicchia, bare senza nome accanto a lapidi con nomi che ci dicono di storie spesso difficili di uomini e di donne di questo Sud che è Nord per i tanti che sono morti nel tentativo di arrivare.
Il vento caldo continua a soffiare, è lo scirocco e sembra una dolorosa preghiera. Laggiù il mare è grosso e minaccia altri morti.
Qui, sulle bare un foglio di carta numerato, da uno a dodici. Non hanno nome, erano irriconoscibili.
''A volte capita che si riesca a dare il nome a qualcuno di loro - dice un addetto alle sepolture - capita anche che torni in patria, ma è raro''. Tutti gli altri, in questa terra di vecchia e nuova emigrazione, hanno sempre un gesto di pietas, un mazzo di fiori. Così anche questa mattina. C'è il sindaco della città, con la fascia tricolore, quella di questa Italia che è sogno di tanti disperati, c'è l'Imam della città che prega e ricorda che Allah è grande, che il Dio unico di tutti gli uomini, bianchi, neri o gialli, è grande, ha le braccia immense, capaci di abbracciare ed accogliere tutti, senza distinsione.
''Questa è terra di frontiera, di solidarietà e di accoglienza - ricorda il sindaco, Marco Zambuto - è terra che conosce quanto sia duro cercare il lavoro, partire per il lavoro, sdradicare famiglie per il lavoro''.
La preghiera dell'Imam è finita. Passa le mani sul viso, una carezza che segna sempre la fine della preghiera, l'amen dei cattolici. L'accompagna il segno della croce di chi gli sta accanto. Una ad una le bare trovano la loro nicchia, bare senza nome accanto a lapidi con nomi che ci dicono di storie spesso difficili di uomini e di donne di questo Sud che è Nord per i tanti che sono morti nel tentativo di arrivare.
Il vento caldo continua a soffiare, è lo scirocco e sembra una dolorosa preghiera. Laggiù il mare è grosso e minaccia altri morti.
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