LA MANO DESTRA DI ARNONE E ALTRI SILENZI di Tano Siracusa

Dunque sembra accertato che è la mano destra. E’ la mano destra di Arnone a mondare. Non, probabilmente, da tutte le miserie e nequizie che imbrattano le coscienze degli umani, ma sicuramente da una di quelle più diffuse dalle nostre parti e più odiose, la mafiosità.
Chi non ricorda le invettive di Arnone contro teleacras descritta come telemafia?
Poi, all’improvviso, Arnone è apparso a Teleacras. E ci è rimasto. Tutti hanno subito capito che la nota emittente locale era stata purificata. Mondata.
Restava solo il dubbio se fosse l’intero corpo di Arnone o una sua parte, oppure la loro semplice prossimità, a produrre l’evento. Adesso sappiamo che è la mano destra. Bisogna stringergli la mano destra.
Lo ha finalmente rivelato lo stesso Arnone in uno dei suoi frequenti spazi televisivi autogestiti: qualche mese fa aveva teso la mano ad Angelo Capodicasa proponendogli di farla finita con 20 anni di risse e scontri. Sappiamo come è andata. Tutti possono oggi constatare che Capodicasa quella mano non l’ha voluta stringere. Infatti Arnone è lì ad accusarlo di essere stato e continuare ad essere amico di Crisafulli, di Gueli, e di altri esponenti del PCI-PDS-DS diversamente implicati in vicende di mafia.
A questo punto bisogna essere giusti: la macchia c’era e il rimedio per cancellarla pure. Bastava stringere quella benedetta mano purificatrice. Se ora la macchia è lì, la colpa non è del guaritore che si era prestato, ma dell’imbrattato che si è voluto negare.
Resa giustizia ad Arnone, ai suoi poteri e alla disponibilità nell’esercitarli, occorre anche dire che la scelta di Capodicasa di ignorare le accuse di Arnone non sembra particolarmente efficace.
Anche perché che Crisafulli, Gueli ed altri esponenti ex diessini non siano stati, diciamo così, campioni dell’antimafia è difficile negarlo. Come è difficile negare che negli ultimi decenni la sinistra in Sicilia e nel mezzogiorno abbia partecipato ad una gestione del potere opaca, spesso apertamente clientelare, rivelatasi permeabile in alcuni casi anche alla penetrazione di interessi mafiosi.
Si può obiettare che una campagna elettorale non è il momento più opportuno per parlarne. Può darsi. Ma se qualcuno chiede di farlo, chiunque sia, non sembra una grande trovata fare finta di non avere sentito.
C’è bisogno di un profondo ripensamento a sinistra su ciò che in questi anni si è fatto della politica, sul degrado delle motivazioni, del codice morale, delle finalità di un ceto politico ormai largamente omogeneo al di là degli steccati di schieramento. Sulle modalità e i criteri con cui si sono costruiti i gruppi dirigenti. C’è bisogno di persone nuove, con idee sulla politica e sensibilità per la politica che segnino una discontinuità netta con il passato.
La candidatura di Vivacqua è un ottimo segnale: il ricambio, il rinnovamento devono avere volti, parole, storie personali come quelle di Vivacqua. Ma non basta, adesso occorre che il PD questa candidatura la sostenga con un impegno organizzativo e finanziario adeguato. Lo farà?
Una cosa è certa: c’è molto interesse per la candidatura di Giandomenico Vivacqua anche in ambienti esterni al PD, dove se ne è subito colta la valenza di novità. E di ciò l’insieme del partito dovrà tenere conto. Staremo a vedere.

 

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