DOV'E' IL BUSTO DI CAVOUR? di Vincenzo Campo
Una presenza ingombrante, quella di Camillo Benso conte di Cavour; tutti i giovani erano d’accordo e avrebbero voluto che così non fosse stato; ma non si poteva; non si poteva andare contro il corso della storia, non si poteva ostacolare il corso obbligato delle cose; bisognava che si riconoscesse merito a chi era stato primo Presidente del consiglio dei ministri dell’Italia unita; per quanto antipatico potesse essere, era assolutamente impossibile pensare di disfarsi di colui che aveva inventato il “centro”, quel luogo politico che è stato quel baricentro dell’Italia, che, spostandosi ora un po’ a destra, ora un po’ a sinistra, fatta eccezione per il periodo fascista, piaccia o no, ha retto il Paese fin dalla sua condizione pre-unitaria ai giorni nostri. E perciò era inevitabile: egli stesso era il centro e al centro doveva stare. I giovani, si sa, e guai se così non fosse, sono ribelli: anelano al cambiamento radicale, vorrebbero raggiungere gli obbiettivi tutti, subito e senza mediazioni e, invece, lì, di fronte a lui, quelli della mia generazione, impotenti, dovevano necessariamente mordere il freno e nulla potevano contro di lui: era un Padre della Patria; si sa che, per la verità, non ci aveva neppure pensato ad adottare questa Patria, che, da buon ministro di Casa Savoia e ben sapendo di non essere altro che questo, realisticamente avrebbe solo voluto allargare lo striminzito Regno di Sardegna; ma poi il gioco gli era sfuggito di mano e aveva realizzato quello che era stato il sogno della sinistra ed era finito col fare l’Italia “una d’arme, di lingua, d'altare,/Di memorie, di sangue e di cor”. Solo un matto poteva pensare di rimuoverlo proprio negli anni del primo centenario dell’Unità d’Italia, quando, ordinati e puliti, coi grembiuli neri e i fiocchi azzurri sul collettino bianco, agitavamo ognuno il suo piccolo tricolore e si cantavamo l’Inno di Mameli e quello di Garibaldi. Dovevamo piangercelo, proprio lì, nel centro di quella piazza che, per la bisogna, diventava campo di calcio; proprio nella linea di centro campo, stava quel Camillo là che, incurante, si prendeva le meglio pallonate; rispetto, sì; impotenza di fronte all’incommensurabile grandezza del Padre della Patria, bene; ma si doveva pur giocare al pallone... del resto: c’era altrove, in città, in questa città tutta bitorzoluta, fatta su colline e tutta scoscesa, piena di vicoli angusti e stretti cortili, c’era da qualche parte una piazza bella larga e in pianura com’era e com’è l’emiciclo Cavour? Non c’era e non c’è. Ora non servirebbe più; ora nessuno gioca più a pallone per strada e tutti praticano il football; nessuno “gioca” al “pallone”; tutti fanno sul serio, nelle scuole calcio mentre i loro papà s’immaginano di vedere Pelé nel loro figliolo; nessuno fa più passaggi e cross davanti casa, per strada, ad attentare alle finestre dei vicini e al naso del Savoiardo; semmai nei campi regolamentari di calcetto, oggi, si pratica lo sport nazionale, senza che ci possa essere, ovviamente, il rischio che il gioco venga impedito da questo o da quell’altro eroe nazionale, messo lì, proprio a centro campo. E ora, ed è da gran tempo, ormai; ora che a nessuno viene più in mente di giocare a pallone a Piazza Cavour, ora che lì il Padre della Patria potrebbe stare lì tranquillamente senza più rompere le scatole a Peracchi, a Pinuzzo Cipuddra, o –chessoio- a Iacuneddru, ora, Cavour non c’è più. Può mai essere inutile una mancata presenza? Questa è assolutamente inutile e, direi dannosa in tempi come i nostri in cui qualcuno rema contro l’Unità del Paese. Ora potrebbe significare ancora più di prima e senza più dare fastidio perché nessuno più vuol cimentarsi nei tiri in porta. E intanto non c’è più. Senza che nessuno se n’accorgesse, quell’imperturbabile Cavour non c’è più, senza che si sappia dov’è andato, dov’è finito. Ora mi manca. Ma davvero: dov’è finito il busto di Cavour?