LA SINISTRA NON VEDE PIU' I TORTI DELLA DESTRA di Tano Siracusa
Submitted by Suddovest on Thu, 15/05/2008 - 21:35
Se qualcuno si fosse assentato nell’ultimo mese dall’Italia e per tutto questo tempo avesse deciso di staccare la spina dell’intero apparato mediatico, oggi tornando si stropiccerebbe gli occhi.
Sul volto di Berlusconi e, di riflesso, su quelli di tutti i suoi uomini si è stampato un sorriso amichevole rivolto alle facce perplesse, disorientate, degli uomini dell’opposizione.
Solo qualche ringhio leghista, subito soffocato, qualche sparata a salve di Marco Travaglio, un volenteroso mulinare di braccia di Di Pietro ricorderebbero gli attori e i ruoli che per un quindicennio hanno affollato il palcoscenico della politica nazionale.
Il capo del governo apre all’opposizione, dall’altra parte scrosciano gli applausi: ‘garbo istituzionale’, si dice, e se di questo si trattasse saremmo tutti contenti e grati agli uomini della casta. Ma di questo non si tratta o non di questo soltanto.
L’impressione è infatti quella di un vincitore che può porgere la mano al vinto solo perché quest’ultimo ha deposto le armi riconoscendo non solo la forza ma anche le ragioni del vincitore.
Prendiamo la questione della sicurezza ricondotta al problema dell’immigrazione clandestina.
Non si discute più a sinistra sulla irrealtà dell’emergenza, sull’evidenza statistica che classifica l’Italia come uno dei paesi europei meno esposti alla microdelinquenza degli immigrati, né si ragiona più ad alta voce sulla tragedia di una legalità sovvertita in buona parte del territorio nazionale dalle cosche mafiose. Chi si azzarda ancora a farlo, come Gad Lerner pochi giorni fa, rischia di venire zittito e irriso da Massimo Cacciari, rischia di sentirsi spiegare che la percezione è un fatto, perché ‘esse est percipi’(lo ha proprio detto il filosofo e sindaco di Venezia), e che perciò tutte le statistiche e i dati oggettivi vanno a farsi fottere se la percezione della realtà li contraddice.
Che importa se non esiste un solo caso nella storia giudiziaria d’Italia di zingari che rubano bambini? La percezione che oggi si ha dei Rom è che sono tutti una massa di delinquenti e che i bambini li hanno sempre rubati. Perciò si assaltano i loro campi a Napoli come a Milano, si da fuoco alle loro abitazioni, si studia come deportarli senza fare incazzare troppo l’Europa, si inscenano con la manovalanza della camorra veri e propri pogrom nell’indifferenza delle istituzioni. E mentre i cronisti del Corriere e della Stampa descrivono e scrivono di ‘pulizia etnica’, si sghignazza di nascosto se qualche vescovo ci ricorda che questi non sono comportamenti cristiani.
Se oggi la destra trionfa non è perché ha vinto le elezioni, ma perché la nuova versione del ‘politicamente corretto’ proclama che il problema della sicurezza esiste esattamente nei termini descritti dalla destra e percepiti dalla maggioranza non degli italiani, ma degli elettori che l’ha votata.
La sinistra sembra esserne ogni giorno più consapevole e sempre più desiderosa di attenersi al nuovo galateo, di assumerne il codice. La ‘ percezione della realtà’ sta azzerando non solo i principi (solidarietà, uguaglianza, diritti umani) già da tempo offuscati dal vangelo neoliberista, ma anche i fatti.
Che poi la percezione della realtà abbia a che fare con un sistema dell’informazione televisiva che registra un fantastico conflitto di interessi e un asservimento pressoché totale al senso comune della destra non è più né garbato, né opportuno farlo notare.
La nuova versione del ‘politicamente corretto’ ha infatti archiviato ogni riferimento al sistematico rincoglionimento del pubblico televisivo operato negli ultimi venti anni dalle tv generaliste e commerciali pubbliche e private, sempre più concorrenziali e sovrapponibili nell’offerta di demenziali volgarità.
Per anni la sinistra si è gagliardamente battuta per piazzare i suoi uomini ai vertici della Rai e giù discendendo per li rami, senza mai cercare di riorientare il funzionamento e il prodotto di quella formidabile macchina della percezione che è il servizio pubblico televisivo.
Oggi, a sostenere che la vittoria della destra è anche frutto di una tv modulata sugli indici di ascolto e gradimento di un pubblico culturalmente sempre più impoverito dalla stessa televisione, si rischia di fare la figura dei cafoni che credono sia ancora di moda il ciuffo di Little Tony.
Immigrazione e apparati della percezione collettiva, sfide della multiculturalità e costruzione mediata della realtà: su questi temi, e non solo su questi, così caratteristici dello scenario postmoderno, la sinistra rischia oggi di non avere un suo vocabolario, un suo codice di interpretazione, una sua differente rappresentazione della realtà.
Ieri a Napoli si poteva leggere su un manifesto del PD: ‘Via gli accampamenti rom da Ponticelli’.
E i giornali di oggi titolano sul probabile accordo fra maggioranza e opposizione sulle nuove nomine RAI.
Le sconfitte elettorali possono essere rimediate nei tempi della politica, che connette le traiettorie individuali a quelle collettive, la realtà dei fatti al loro oltrepassamento prima ideale e poi pratico.
Ma le sconfitte culturali, la conversione del proprio ‘sentire’ in quello dell’avversario, chiudono un’epoca, una fase della storia, spezzano la tensione fra fatti e principi, realtà e ideali, su cui la sinistra in occidente ha costruito la sua avventura negli ultimi due secoli. E c’è infatti chi, a destra, lo sostiene.
Va dunque bene il nuovo ‘garbo istituzionale’, il sorriso stampato sulle facce di Gasparri e Cicchitto (anche se non gli viene ancora proprio bene),o le melensaggini di qualche ministro sulla qualità intellettuale e morale di chi fino a un mese veniva accusato di essere rimasto un comunista.
Quello che preoccupa sono le facce disorientate, gli applausi, i silenzi, gli imbarazzi dall’altra parte. Il manifesto del PD di Napoli e la conversione di Cacciari al soggettivismo di Berkeley. Quello che preoccupa oggi nel partito di Veltroni è la tentazione di riconoscere la radice di una sconfitta politico-elettorale in un eccesso di alterità rispetto alla cultura e al senso comune della destra. A preoccupare è la tentazione dell’unanimismo, del conformismo, della liquidazione pura e semplice della propria identità.
Quanti italiani, socialisti, comunisti, cattolici, liberali, democratici, fra la fine degli anni venti e i primi anni trenta del secolo scorso si persuasero che sulle questioni fondamentali Mussolini aveva avuto in fondo ragione? Pace sociale, Concordato, rispetto internazionale.
Furono gli anni del consenso, del conformismo quelli della vera, catastrofica sconfitta della democrazia in Italia, molto più del ’22 o del ’24. In quegli anni però il galateo politico nazionale non ammetteva ancora l’antisemitismo.
In compenso quello di oggi comprende l’oltraggio e l’aggressione razzista nei confronti dei Rom e di altri disgraziati responsabili di non voler morire di fame, dittature e guerre nei loro paesi di origine.
E’ su questi temi, sullo sfondo delle buone e garbate maniere politiche e dei fuochi di Napoli, che Giandomenico Vivacqua comincia la sua campagna elettorale per il PD. A Giandomenico un augurio sincero e una considerazione forse non più ovvia: la sinistra può ancora vincere, ma solo a condizione di volere esserci ancora.
Sul volto di Berlusconi e, di riflesso, su quelli di tutti i suoi uomini si è stampato un sorriso amichevole rivolto alle facce perplesse, disorientate, degli uomini dell’opposizione.
Solo qualche ringhio leghista, subito soffocato, qualche sparata a salve di Marco Travaglio, un volenteroso mulinare di braccia di Di Pietro ricorderebbero gli attori e i ruoli che per un quindicennio hanno affollato il palcoscenico della politica nazionale.
Il capo del governo apre all’opposizione, dall’altra parte scrosciano gli applausi: ‘garbo istituzionale’, si dice, e se di questo si trattasse saremmo tutti contenti e grati agli uomini della casta. Ma di questo non si tratta o non di questo soltanto.
L’impressione è infatti quella di un vincitore che può porgere la mano al vinto solo perché quest’ultimo ha deposto le armi riconoscendo non solo la forza ma anche le ragioni del vincitore.
Prendiamo la questione della sicurezza ricondotta al problema dell’immigrazione clandestina.
Non si discute più a sinistra sulla irrealtà dell’emergenza, sull’evidenza statistica che classifica l’Italia come uno dei paesi europei meno esposti alla microdelinquenza degli immigrati, né si ragiona più ad alta voce sulla tragedia di una legalità sovvertita in buona parte del territorio nazionale dalle cosche mafiose. Chi si azzarda ancora a farlo, come Gad Lerner pochi giorni fa, rischia di venire zittito e irriso da Massimo Cacciari, rischia di sentirsi spiegare che la percezione è un fatto, perché ‘esse est percipi’(lo ha proprio detto il filosofo e sindaco di Venezia), e che perciò tutte le statistiche e i dati oggettivi vanno a farsi fottere se la percezione della realtà li contraddice.
Che importa se non esiste un solo caso nella storia giudiziaria d’Italia di zingari che rubano bambini? La percezione che oggi si ha dei Rom è che sono tutti una massa di delinquenti e che i bambini li hanno sempre rubati. Perciò si assaltano i loro campi a Napoli come a Milano, si da fuoco alle loro abitazioni, si studia come deportarli senza fare incazzare troppo l’Europa, si inscenano con la manovalanza della camorra veri e propri pogrom nell’indifferenza delle istituzioni. E mentre i cronisti del Corriere e della Stampa descrivono e scrivono di ‘pulizia etnica’, si sghignazza di nascosto se qualche vescovo ci ricorda che questi non sono comportamenti cristiani.
Se oggi la destra trionfa non è perché ha vinto le elezioni, ma perché la nuova versione del ‘politicamente corretto’ proclama che il problema della sicurezza esiste esattamente nei termini descritti dalla destra e percepiti dalla maggioranza non degli italiani, ma degli elettori che l’ha votata.
La sinistra sembra esserne ogni giorno più consapevole e sempre più desiderosa di attenersi al nuovo galateo, di assumerne il codice. La ‘ percezione della realtà’ sta azzerando non solo i principi (solidarietà, uguaglianza, diritti umani) già da tempo offuscati dal vangelo neoliberista, ma anche i fatti.
Che poi la percezione della realtà abbia a che fare con un sistema dell’informazione televisiva che registra un fantastico conflitto di interessi e un asservimento pressoché totale al senso comune della destra non è più né garbato, né opportuno farlo notare.
La nuova versione del ‘politicamente corretto’ ha infatti archiviato ogni riferimento al sistematico rincoglionimento del pubblico televisivo operato negli ultimi venti anni dalle tv generaliste e commerciali pubbliche e private, sempre più concorrenziali e sovrapponibili nell’offerta di demenziali volgarità.
Per anni la sinistra si è gagliardamente battuta per piazzare i suoi uomini ai vertici della Rai e giù discendendo per li rami, senza mai cercare di riorientare il funzionamento e il prodotto di quella formidabile macchina della percezione che è il servizio pubblico televisivo.
Oggi, a sostenere che la vittoria della destra è anche frutto di una tv modulata sugli indici di ascolto e gradimento di un pubblico culturalmente sempre più impoverito dalla stessa televisione, si rischia di fare la figura dei cafoni che credono sia ancora di moda il ciuffo di Little Tony.
Immigrazione e apparati della percezione collettiva, sfide della multiculturalità e costruzione mediata della realtà: su questi temi, e non solo su questi, così caratteristici dello scenario postmoderno, la sinistra rischia oggi di non avere un suo vocabolario, un suo codice di interpretazione, una sua differente rappresentazione della realtà.
Ieri a Napoli si poteva leggere su un manifesto del PD: ‘Via gli accampamenti rom da Ponticelli’.
E i giornali di oggi titolano sul probabile accordo fra maggioranza e opposizione sulle nuove nomine RAI.
Le sconfitte elettorali possono essere rimediate nei tempi della politica, che connette le traiettorie individuali a quelle collettive, la realtà dei fatti al loro oltrepassamento prima ideale e poi pratico.
Ma le sconfitte culturali, la conversione del proprio ‘sentire’ in quello dell’avversario, chiudono un’epoca, una fase della storia, spezzano la tensione fra fatti e principi, realtà e ideali, su cui la sinistra in occidente ha costruito la sua avventura negli ultimi due secoli. E c’è infatti chi, a destra, lo sostiene.
Va dunque bene il nuovo ‘garbo istituzionale’, il sorriso stampato sulle facce di Gasparri e Cicchitto (anche se non gli viene ancora proprio bene),o le melensaggini di qualche ministro sulla qualità intellettuale e morale di chi fino a un mese veniva accusato di essere rimasto un comunista.
Quello che preoccupa sono le facce disorientate, gli applausi, i silenzi, gli imbarazzi dall’altra parte. Il manifesto del PD di Napoli e la conversione di Cacciari al soggettivismo di Berkeley. Quello che preoccupa oggi nel partito di Veltroni è la tentazione di riconoscere la radice di una sconfitta politico-elettorale in un eccesso di alterità rispetto alla cultura e al senso comune della destra. A preoccupare è la tentazione dell’unanimismo, del conformismo, della liquidazione pura e semplice della propria identità.
Quanti italiani, socialisti, comunisti, cattolici, liberali, democratici, fra la fine degli anni venti e i primi anni trenta del secolo scorso si persuasero che sulle questioni fondamentali Mussolini aveva avuto in fondo ragione? Pace sociale, Concordato, rispetto internazionale.
Furono gli anni del consenso, del conformismo quelli della vera, catastrofica sconfitta della democrazia in Italia, molto più del ’22 o del ’24. In quegli anni però il galateo politico nazionale non ammetteva ancora l’antisemitismo.
In compenso quello di oggi comprende l’oltraggio e l’aggressione razzista nei confronti dei Rom e di altri disgraziati responsabili di non voler morire di fame, dittature e guerre nei loro paesi di origine.
E’ su questi temi, sullo sfondo delle buone e garbate maniere politiche e dei fuochi di Napoli, che Giandomenico Vivacqua comincia la sua campagna elettorale per il PD. A Giandomenico un augurio sincero e una considerazione forse non più ovvia: la sinistra può ancora vincere, ma solo a condizione di volere esserci ancora.
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