IL FASCISMO O DELLA BESTIA CHE È IN NOI di Stefano Vivacqua
Tempo addietro, durante un Tg della sera, ho assistito ad un’intervista volante all’allora ministro italiano della cultura. Al giornalista che gli chiedeva (invero, in modo estemporaneo e inquisitorio) se si dichiarasse o meno antifascista, il ministro replicava stizzito di dichiararsi lui, l'intervistatore, “preliminarmente”, anticomunista. Quello scambio di battute mi irritò per la superficialità, la ripicca puerile, con cui entrambi gli interlocutori si rinfacciavano epiteti che evocavano le due grandi tragedie del XX secolo. L'episodio mi fece riflettere sul valore semantico corrente dei due termini, sul significato e sul peso specifico che le parole “antifascismo” e “anticomunismo” hanno nell’attuale contesto storico e nella comunicazione sociale e politica.
Ora, al di là di ogni schematismo settario, non si può negare che l’“anticomunismo” si sia oramai ridotto a tacita ovvietà, sottinteso culturale, premessa implicita di qualunque ragionamento o discussione politica. V’è forse ancora qualcuno, minimamente consapevole, che, nel sottofondo delle cose scontate, non sia anticomunista? La stessa parola, “anticomunista” ha un che di ammuffito, un sapore d’antico, è desueta, innecessaria; è quasi come definirsi anti-tolemaico in epoca copernicana o ribadire di essere contro la caccia in una civiltà di vegetariani.
Al contrario, la parola “antifascismo” mantiene una sua drammatica attualità e dichiararsi antifascista è un impegno etico, una scelta di campo ancora cogente.
Per indagare le ragioni di questa asimmetria delle due fedi che hanno caratterizzato e insanguinato il Novecento, bisogna andare alla diversa ontologia dei rispettivi fenomeni storici, senza dimenticare, tuttavia (come l’esperienza italiana ed europea del dopoguerra insegna), che si può essere stati “comunisti” e aver amato e difeso la democrazia, ma non si può essere fascisti e al contempo deplorare la violenza politica e la dittatura. Come dire, non esiste il fascista tra virgolette.
In essenza, il comunismo è il frutto di un gigantesco errore concettuale, una deriva infausta dell’illusione umanistica, una chimera irrespirabile dell’intelletto umano, laddove il fascismo risponde ad un istinto prepolitico, ad una “insensibilità” specifica, ad una perversione latente nella natura umana. Se il primo è una sciagurata utopia ottocentesca, un lascito aberrante della fede illuministica nelle “magnifiche sorti e progressive” dell’uomo, una delirante e datata “metafisica” della storia, il cui tragico svolgimento storico è definitivamente fallito, tradito e umiliato da sé medesimo, il secondo, al contrario, è la mutazione moderna di un virus atavico, l’innata disposizione umana alla prevaricazione e al sopruso, una rivoluzione “regressiva” nel nome della bestia che è in noi. Il fascismo non è pensiero evoluto, è etologia in azione, prassi vessatoria, brutale uso della forza al servizio di interessi concreti e sentimenti primari. È il punto di congiunzione tra due costanti dell’anima umana, la brama di potere e l’ansia di sottomissione; l’arcaico connubio di banditismo politico e codardia civica, repressione del dissenso e consenso della paura, urlo di guerra e acclamazione bovina.
Il fascismo è “esclusivo” per definizione, poiché si definisce per esclusione; è odio tribale, disprezzo settario per tutto ciò che non è fascista: i proletari, i borghesi, gli aristocratici, le istituzioni parlamentari, lo Stato liberale, la Chiesa, la Monarchia, gli anarchici, i comunisti, i socialisti, i liberali, i cattolici, i conservatori, gli apolitici e gli apatici, gli ebrei, i neri, gli stranieri, gli intellettuali, l’arte non cortigiana, la stampa libera, i partiti, i sindacati, le associazioni civiche e persino le conversazioni per strada tra più di tre persone! Non v’è nulla di culturalmente originale o inedito in quella avventura omofobica che chiamiamo fascismo. Si consideri anche questo: quella fascista è la sola dittatura del novecento che non ha per fondamento e ispirazione un libro, un testo sacro. “Libro e Moschetto” intima uno degli slogan più rappresentativi del regime: ma quale Libro? A quale summa del pensiero fascista si affida l’indottrinamento della nazione in quell’esortazione? I nazisti hanno il Mein Kanpf e i deliri pangermanici di Rosenberg e Houston-Chamberlain; i comunisti hanno Marx, Engels, il Manifesto, e un et cetera ingombrante di glossatori e interpreti; i maoisti hanno il Libretto di Mao; le autocrazie nazionalistiche dell’est europeo hanno i loro profeti panslavisti, da Mickiewicz a Danilevskij; le teocrazie mediorientali hanno il Corano (e tralasciamo i copiosi e immortali ascendenti “filosofici” della ghigliottina illuminista di Robespierre e Saint Just, la prima dittatura ideologica della storia). Il fascismo? Nulla, non ha fonti testuali né debiti culturali specifici, non ha un teorico di riferimento, non ossequia alcuna fede o morale, non ha velleità intellettuali, non cerca giustificazioni valoriali, alibi etici o coperture ideali. È nato per partenogenesi dalla carne putrefatta di un paese devastato dalla guerra, lievitato dalla furbizia belluina di un capopopolo (e tragico capocomico) assetato di sé, che arriva al potere da null’altro sostenuto e legittimato se non dalle manganellate prezzolate dei suoi sicari. Per il resto, è un costrutto retorico onanistico, tautologico e imperativo, che riduce la complessità della teoria e dell’azione politica ad un solo, preliminare e irrevocabile articolo di fede: “Credere, Obbedire, Combattere” (si intende: nel Duce, al Duce, per il Duce!) Questo è il solo preambolo e programma politico del fascismo mussoliniano.
Se, dunque, il fascismo non è che un invariabile modo di essere dell’uomo, un demone sempre in agguato nel sottoscala dell’animo umano, si capisce perché la sua sconfitta non costituisce che un episodio, un passaggio della storia. Ed invero, il comunismo, fallito nella “prassi”, è morto e sepolto anche come categoria della politica, senza lasciare eredi; il fascismo, invece, sconfitto nella guerra, è sopravvissuto come categoria dello spirito. Le Idee, presto o tardi, trapassano, svaniscono al contatto con la irredimibile natura umana: la Bestia perdura, cambia pelle all’occorrenza, come il camaleonte, ma non muore mai. Prova ne sia che, nel mondo post XX secolo, non esistono più comunisti, ma è pieno così di fascisti.