DA RE LEAR AL MASCHIO FRAGILE DI OGGI di Pepi Burgio
Intervistato giorni fa da Paolo Scotti, Gabriele Lavia ha ricostruito le tappe, dall’iniziale rifiuto fino alle successive perplessità, con cui ha accolto la pressante proposta del Teatro di Roma per la realizzazione della messa in scena al Teatro Argentina del Re Lear di Shakespeare, tragedia di titanico impegno registico e attoriale. Lavia, che già nel 1972 aveva interpretato Edgar nella storica rappresentazione con un magnifico Tino Carraro, a distanza di tanto tempo ha affermato di non aver ancora “capito l’opera”, tanto sconfinate ne appaiono le significazioni, da rendere impossibile ogni velleitaria reductio ad unum. Re Lear - dice Lavia - "è certo la tragedia della vecchiaia, dell'abbandono del potere, dell’ingratitudine del figi. Ma anche tanto di più. È un universo intero".
Da qui discende la necessaria grande abilità del regista e dell'attore - in Lavia coincidenti - per rendere mediante minime mutevolezze espressive un ventaglio così multiforme di tratti psicologici. Lear nel corso del tempo è stato descritto dalla critica come orgoglioso e bisognoso di adulazione, tirannico e debole, avido di un amore che non sa in alcun modo rendere. Dice Lavia: "Come attore (e regista) non puoi far altro che tuffartici dentro, come al mare... sperando di non affogare".
Sulla straordinaria complessità caratteriale del personaggio ha detto parole forse definitive Harold Bloom: "insieme ad Amleto, Re Lear sfugge a qualsiasi commento. Tra i drammi shakespeariani questi due presentano un'estensione infinita che trascende forse i limiti della letteratura". E se, come afferma Oscar Wilde, a causa di Amleto il mondo si è intristito, con Re Lear assistiamo, tra l’altro, alla genesi della lenta erosione dell'istituto del patriarcato, ad opera delle prime due figlie, Gomeril e Regen, caperbiamante impegnate nell’attuazione di una diabolica strategia di adulazione seduttiva del padre. Cordelia, l’ultimogenita, pur investita dal sentimento incestuoso paterno, vissuto peraltro specularmente, a differenza delle sorelle si sottrarrà al vortice del tradimenti innescato dall’abdicazione del sovrano e rivendicherà il rifiuto dell’amore esclusivo da questi preteso, in nome dell'affermazione di una autenticità e di una autonomia dei sentimenti che sgretoleranno la positura egotica, dispotica, del patriarca. La radicale messa in discussione del carattere teologico della figura del padre, fa di Cordelia quasi il campione di una protomodernità che si sostanzia nell’atto di eversione di una consolidata gerarchia sacrale. Cordelia ama il padre, di un amore autentico e, proprio per questo, non può in alcun modo assecondarne le pulsioni aggressive, possessive, che finiranno per sfociare, esito dell’incapacità di riconoscere l’altro da sé, nella follia.
Ha detto in proposito Harold Bloom: "Lear è insieme padre, re e una sorta di dio mortale: è l'immagine dell’autorità maschile, forse la rappresentazione suprema del maschio europeo bianco morto".
Massimo Cacciari, nel corso di un'intervista televisiva, ha sostenuto che la crisi del modello patriarcale è già presente nei drammi shakesperiani, in particolare nel Re Lear e nell’Amleto; aggiungendo che essa si è approfondita fino a caratterizzare l’epoca dell'affermazione della famiglia borghese, come già marchiata da un grave disfacimento della cultura patriarcale, la quale acuendosi ha determinato il tramonto definitivo dei pregressi modelli culturali e antropologici. Qualcosa di simile, ma da un punto di vista molto più circoscritto, sociologico, è stato di recente sostenuto da Luca Ricolfi, rimasto inascoltato al pari di Cacciari da strepitanti moltitudini affaccendate in tuttaltre faccende.