PENSARE, SENTIRE, FORSE ANCHE VIVERE di Pepi Burgio
Le considerazioni che tempo fa sono state tratteggiate dal filosofo Alfonso Maurizio Iacono , circa l'assunzione dell'espressività artistica come possibile nuovo orizzonte linguistico su cui provare ad impiantare alcune modalità dell'agire politico e sociale, è tema di grande interesse, specie nel tempo in cui, dissolte quelle precedenti, appare improbabile riuscire a sottrarsi alla "povertà estrema".
In una lezione tenuta nel gennaio del 2018 dal titolo Sulla necessità della poesia , Massimo Cacciari ha sostenuto l'ineludibile urgenza di emanciparsi dall'invasione banalizzante dell'informazione, vero e proprio "sradicamento" del linguaggio, per contrapporvi la comunicazione, che è relazione , ascolto, riconoscimento.
L'informazione, aggiunge Cacciari, presuppone una scatola vuota da riempire, nonché il progressivo affermarsi di "una forma di esperanto che sta dominando il pianeta". Stiamo diventando ignoranti per eccesso di informazione, ammoniva anni fa Alfonso Maurizio Iacono in diversi suoi interventi; ed allora, riconsiderare il linguaggio poetico in particolare e quello artistico in generale come "l'indicare, non il dire" (pensa Cacciari quasi riproponendo Eraclito quando ricordava che l'Oracolo di Delfi "non afferma né nega, fa cenni") costituisce il superamento dei limiti del discorso scientifico e il dispiegarsi di "un lavoro di connessione, di filia , di amicizia".
Esso necessariamente si ammanta di una connotazione sociale e politica poich é rivolto a quel mondo della vita che la parola poetica e il linguaggio artistico, a differenza del rigore del ragionamento filosofico, non denotano mai in maniera definitiva, perentoria.
Ad aggiungere ulteriore forza argomentativa al dire di Cacciari, è apparso nei giorni scorsi su La Repubblica un articolo molto interessante del gesuita Antonio Spadaro, direttore per alcuni anni de La civiltà cattolica , che commenta una lettera di Papa Bergoglio sul valore della letteratura quando si incrementa del multiforme sentire comune che istituisce una virtuosa dialettica in cui l'espressione artistica non è patrimonio soltanto di chi la propone, ma anche di chi interiorizzandola la rielabora.
Bergoglio, con stupefacente arditezza dottrinaria, alla letteratura e all'arte attribuisce financo l'ufficio di una possibile prossimit à all'essenziale; questi dischiudono nuovi linguaggi allorché "neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell'anima". Io amo - aggiunge - gli artisti tragici, "quando, interpretando autenticamente il sentimento popolare, pervengono ad una universalità rappresentativa classica"; ovvero, dice padre Antonio Spadaro, al "desiderio di entrare nella condizione umana". Non a caso, in cima al pantheon iconografico di Bergoglio si situa quel capolavoro classico, universale, popolare che è La strada di Federico Fellini. Quest'opera, al pari di altre apparse in diversi settori artistici, ma con le medesime irrinunciabili caratteristiche appena enunciate, apre vasti e inconsueti scenari. E a proposito della potenza espressiva del linguaggio musicale, sottratto decisamente dal Papa ad annessioni intellettualistiche, disincarnate, che fa capolino una significativa esperienza personale legata all'entusiasmo provato nell'ascolto di brani mozartiani eseguiti da Clara Haskil: "Mi riempie, non posso pensarlo , devo sentirlo". Aggiunge un commento padre Spadaro: "In queste poche parole c'è tutta una concezione della fruizione estetica che distingue 'sentire' e 'pensare'". C'entra qualcosa col Nietzsche che riconosceva il suo genio nelle sue narici?
A conclusione del suo appassionante articolo padre Spadaro lo impreziosisce di una citazione dagli Esercizi spirituali di Sant'Ignazio di Loyola: "non è il molto sapere che sazia e appaga l'anima, ma il sentire e gustare le cose".
Che alcune delle nuove forme dell'agire politico e sociale fossero in nuce celate fra gli albori della modernità?
Però questi gesuiti.