ASSOLTO SOCRATE. C'E' UN GIUDICE A CALTANISSETTA di Ottavio Sferlazza
Nel giorno anniversario della strage di Capaci, a Caltanissetta, nell'ambito del progetto 'Insieme per la legalità, memoria e impegno in ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellini' è stato organizzato un processo di riesame del condannato Socrate.
Sono passati molti secoli è vero, ma quella condanna interroga perennemente le nostre coscienze e in questo caso quelle di alcuni magistrati nisseni che hanno celebrato un nuovo processo questa volta assolvendo il grande filosofo ateniese.
Ottavio Sferlazza, in nome del popolo ateniese (rinsavito), ha scritto le motivazioni della sentenza. Eccole
IN NOME DEL POPOLO ATENIESE
IL TRIBUNALE DI ATENE
Riunito in camera di consiglio all’udienza del 23/5/2024 e composto dai seguenti giudici:
- Ottavio Sferlazza, presidente
- Boris Pastorello, giudice a latere
- Roberta Bello, giudice popolare
- Alessia Bertuccio. giudice popolare
- Giorgia Castronovo, giudice popolare
- Claudia Fallea, giudice popolare
- Giuseppe Mendola giudice popolare
- Daria Sabella giudice popolare
nel processo a carico di Socrate, nato ad Atene nel 470/469 A.C. imputato dei seguenti reati:
- Per il reato (ABUSO DEI MEZZI DI CORREZIONE) di cui agli artt. 81 cpv., 571 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, insegnando agli ateniesi minori degli anni diciotto, a lui affidati per ragioni di istruzione, di credere in divinità diverse da quelle riconosciute dalla Polis, abusava dei mezzi di correzione, facendo insorgere negli stessi il pericolo di una malattia nella mente, e segnatamente di una condizione psichica di totale soggezione, strumentale al loro condizionamento politico.
Commesso in Atene, in epoca anteriore e prossima al nel 399 a.C.
B) Per il reato (VILIPENDIO ALLA RELIGIONE DELLO STATO) di cui all’art. 402 c.p., perché, insegnando a non credere negli dei della Polis, pubblicamente vilipendeva la religione della città-stato di Atene.
Commesso in Atene, in epoca anteriore e prossima al 399 a.C.
C) Per il reato (ISTIGAZIONE A DISOBBEDIRE ALLE LEGGI) di cui all’art. 415 c.p., perché, istigava i giovani ateniesi alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico dell’Agorà.
Commesso in Atene, in epoca anteriore e prossima al 399 a.C.
In esito alla istruttoria dibattimentale, sentiti i pubblici ministeri e i difensori e consultati fonti e documenti storici accreditati;
OSSERVA
Alla luce del quadro probatorio processualmente acquisito le accuse a carico dell’imputato non risultano provate al di là di ogni ragionevole dubbio.
Va in primo luogo rilevato che, per quanto riguarda l’accusa di empietà, dalla vita e dalle dichiarazioni dibattimentali rese dallo stesso Socrate, confermate dai testi escussi, emerge chiaramente il senso religioso che Socrate attribuiva alla sua missione, che egli riteneva assegnatagli da Dio, quella cioè di “vivere filosofando e sottoponendo a esame se stesso e gli altri” (cfr.Platone, Apologia di Socrate, E 29 A).
Ma la dimensione teologica del pensiero socratico emerge soprattutto da quel segno divino o voce divina o “daimonion” che egli soleva affermare di sentire dentro di sé fin da fanciullo e rispetto al quale appare evidente che tale voce interiore della coscienza rappresentava per Socrate quel momento in cui la coscienza stessa entra in rapporto con il divino.
Ad avviso del collegio non si trattava quindi di una nuova divinità, come si sostiene nel capo di imputazione sub b), bensì di uno speciale rapporto di Socrate con il divino.
Sotto altro profilo, non risulta provato – perché anzi appare irragionevole la contraria ipotesi accusatoria - che l’avere trasmesso ai suoi discepoli questa particolare dimensione religiosa del punto di incontro dell’umano con il divino possa integrare una ipotesi di corruzione dei giovani e di coloro che lo frequentavano.
E peraltro, una clamorosa smentita della fondatezza dell’accusa di non credere negli dei della città risulta dalla testimonianza di Platone che nel Fedone riporta le ultime parole di Socrate prima di morire allorchè in carcere, rivolgendosi a Critone, quando ormai le parti intorno al basso ventre si erano fatte di gelo per effetto della cicuta, disse “ O Critone, siamo ancora in debito di un gallo con Asclepio. Dateglielo e non dimenticatevene”(cfr. Fedone,118 a).
Asclepio era il dio della medicina, il cui culto era stato da poco introdotto nella città, ed il sacrificio del gallo potrebbe essere ricollegabile alla guarigione da una precedente malattia ovvero, simbolicamente, alla liberazione con la imminente morte da quella malattia che era sta per lui la vita nel corpo con l’anima finalmente libera di vivere la propria esistenza ispirata al bene ed al giusto.
Va peraltro osservato che l’introduzione di nuove divinità e relativi nuovi culti in quel periodo non era un fatto inusitato o necessariamente empio ed esecrabile come nel caso della dea Bendis (oltre ad Asclepio) alla cui festa che si celebrava al porto del Pireo, Socrate aveva partecipato, come risulta dall’inizio della Repubblica (cfr. 327 a).
In realtà la sua critica era rivolta agli dei della mitologia che condividevano le stesse debolezze degli uomini a causa delle loro violente contese e conflitti anche tra padre e figli, adulteri ed altri gravi comportamenti anche peggiori di quelli degli uomini, mentre per Socrate gli dei devono coincidere con il concetto di bene.
Sotto altro profilo, anche l’accusa di corrompere i giovani appare insostenibile e irragionevole, atteso che cercare di persuaderli a prendersi cura “né delle ricchezze né di alcuna altra cosa prima e con maggiore impegno che dell’anima, in modo che diventi buona il più possibile”, sostenendo “che la virtù non nasce dalle ricchezze, ma che dalla virtù stessa nascono le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico” (cfr. Apologia 30 B-C), lungi dal costituire un comportamento corruttivo assume il valore di un messaggio pedagogico di alto profilo etico, politico e sociale.
Del tutto priva di prova risulta, infine l’accusa, di istigare i giovani a disobbedire alle leggi della Polis.
Se con tale accusa si vuole sostenere che gli insegnamenti di Socrate avessero un contenuto eversivo rispetto agli assetti democratici e costituzionali della Città-Stato, la stessa appare del tutto indimostrata.
Il suo disimpegno politico, spesso ritenuto una scelta antidemocratica, e la sua presunta vicinanza ad ambienti oligarchici non appaiono sufficienti a ritenere provato che fosse un oppositore al regime democratico, atteso che, in primo luogo, Socrate ha sempre operato in pubblico e all’aperto, scelta questa molto distante dalle pratiche più diffuse tra gli aristocratici inclini ad operare nella cerchia ristretta ed elitaria del gruppo chiuso.
Inoltre risulta da Senofonte che Socrate fu maestro severo e attento, pronto a stigmatizzare il comportamento di Crizia, al quale riservò parole sprezzanti in pubblico per le sue effusioni con Eutidemo.
Socrate fu critico anche con i Trenta, che uccidevano molti cittadini, facendo riferimento al cattivo bovaro e non partecipò alla cattura di persone inserite nelle liste di proscrizione; le sue posizioni critiche nei confronti dei Trenta anzi lo esposero tanto da far dire allo stesso Socrate che “ forse a causa di queste cose sarei morto se quel governo non fosse caduto in un breve giro di tempo”.( cfr. Apologia 32 D)
Va, inoltre, rilevato che nonostante il suo disimpegno politico – manifestazione, questa, ritenuta di militanza antidemocratica – Socrate non venne mai meno ai suoi doveri di cittadino come soldato nei campi di battaglia almeno in tre circostanze: Potidea, Delio e Anfipoli, come risulta dal Simposio (219 A) e dalla Apologia ( E29A) di Platone che ne esaltò la virtù e la lealtà, atteso che la sicurezza di ogni soldato dipendeva dalla lealtà dei commilitoni.
Né può tacersi, come ulteriore manifestazione di autonomia e giudizio critico, la posizione assunta da Socrate che si oppose alla decisione illegale presa con riferimento al processo ai generali della battaglia vittoriosa delle Arginuse contro la flotta spartana.
L’accusa era di non avere soccorso i naufraghi a seguito del richiamo delle navi inviate in soccorso a causa di una minacciosa tempesta.
Il processo si svolse in spregio ad alcune regole processuali, tra le quali in primo luogo quella che imponeva di giudicare ciascun imputato in base alla propria condotta individuale e non complessivamente.
Insomma, tutta la vita di Socrate appare ispirata al rispetto delle regole ed a principi di una sana e leale convivenza civile ed è significativa l’amicizia con Cherofonte (cfr. Apologia 21A) che nel 404 A.C. era andato in esilio per combattere con Trasibulo contro i Trenta tiranni.
Se poi l’ìstigazione a disobbedire alla leggi viene fondata sulla sua presunta empietà (asèbeia), va osservato che se è vero che la dimensione del divino era importante per i greci ed il culto che veniva riservato agli dei era parte integrante della identità dei cittadini; se, in definitiva, credere era un gesto politico che si misurava concretamente nella partecipazione alle cerimonie che scandivano la vita della Polis, orbene le richiamate ultime parole di Socrate prima morire che chiede un sacrificio ad Asclepio dimostra il suo rispetto per i riti prescritti ed un messaggio di adesione alla cura che gli uomini dovevano avere per gli dei. (eusèbeia).
Tale ultima circostanza smentisce l’assunto del teste Aristippo secondo cui Socrate non credeva negli dei e ne aveva creato di nuovi, atteso che il daimonion, per le ragioni sopra esposte, era la voce interiore della coscienza che rappresentava per Socrate quel momento in cui la coscienza entra in rapporto con il divino.
Vero è invece che Socrate, fino alle ultime fasi della sua vita e nel processo ha rivendicato la sua fede negli Dei, affermando con fermezza ed orgoglio, rivolgendosi ai cittadini ed ai suoi accusatori: “Io, cittadini di Atene, credo negli Dei come nessuno dei miei accusatori. E affido a voi e al dio il compito di giudicare me in quel modo che sarà il migliore per me e per voi” (cfr.35 D Apologia)
Così come del tutto inattendibile appare l’accusa di sudditanza psicologica e manipolazione mossa dal teste Aristippo e, de relato, dalla madre Elide, essendo del tutto evidente che l’obiettivo della tecnica della confutazione (elenchos) era quello di sviluppare nei giovani allievi una capacià di riflessione critica anche nei confronti del sistema di valori – spesso corrotto- su cui si fondava la Città che non potevano essere accettati acriticamente, ma andavano verificati con intransigenza nei confronti del potere.
Sebbene Socrate sia stato un pensatore scettico, in grado solo di creare dubbi, tuttavia il suo metodo metteva le persone di fronte a se stesse aiutandole ad ascoltare la voce della coscienza, che almeno saprà indicare che cosa non è giusto fare.
Non solo Socrate sa di non sapere nulla ma sostiene che “ ciò che io non so neppure ritengo di saperlo”(cfr.21 D Apologia).
Egli non ha voluto imporre le sue idee agli allievi, non ha preteso di insegnare loro cosa pensare ma come pensare ad affrontare i problemi.
Socrate ha cercato di educare i giovani promuovendone la riflessione critica su se stessi, mentre i sofisti mettevano gli allievi nelle condizioni di fronteggiare con successo ogni sfida anche facendo ricorso alla prevaricazione retorica ed argomentativa.
Non risulta provato alcun nesso di causalità tra i problemi psicologici e l’alcolismo lamentati da Aristippo e gli insegnamenti socratici, dovendosene piuttosto ricercare le cause nella sua fragilità e nei problemi esistenziali tipici dell’età adolescenziale.
La formula di assoluzione per la accertata insussistenza del fatto storico contestato sub b), in quanto più favorevole di quella perché il “fatto non è previsto dalla legge come reato”, a seguito della sentenza della C. Cost n. 508/2000, prevale su quest’ultima.
P.Q.M.
Visto gli artt.530,1 comma, 544 e 545 c.p.p
ASSOLVE
Socrate dai reati ascrittigli ai capi a) b) e c) perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Atene nel 399 A.C.
Il Presidente
Il giudice a latere
I giudici popolari