LA DOLCEZZA DEL NAUFRAGAR di Pepi Burgio
Di notte, “quando la notte si denuda” e consegna “al silenzio le buriane della mente”, la poetessa veglia sulla pagina bianca; e ignara si strugge perché Orfeo le allunghi qualche grazia. Poi, “nel dolce incanto di mezzanotte, cerchio silente di forze nascoste”, alla maniera del passero solitario, canta la “vita senza viverla”. E dice: mentre di giorno “non c’è nulla che non mi dia turbamento”, la notte, “quando cadono gli ultimi spaventi e l’anima si getta all’avventura”, “coltivo l’orto della esistenza cercando un lampo di fede in umili lavacri di parole”.
Margherita Biondo, che a dispetto del fulgore cui allude la propria identità anagrafica, rivela una sensibilità umbratile, malinconica, consapevole del mistero che rende problematico l’accesso ad alcuni suoi versi e improbabile il disvelamento del travaglio della propria personalità, ha presentato la sua nuova raccolta di poesie, Nuances (Chiaroscuri dell’immaginario), ed. Medinova, al Museo Archeologico Regionale di Agrigento pochi giorni fa. In una sua poesia, silloge dei motivi che più l’assillano, si dice di uno spirito che colleziona i dubbi e “non ha mai riposo”; e delle “chiavi d’armonia” invano agognate da una ricerca in cui “l’affanno non si placa”.
Margherita sa bene che la poesia non è ambito di composizione delle dissonanze della coscienza moderna; e altrettanto bene è consapevole di quanto insopprimibile sia per il poeta - che possiede a differenza degli altri una sensibilità esasperata - il bisogno di totalità, di unità, di assoluto, negato dalla prosaicità della vita.
“La creazione poetica è sofferenza e fortezza”, scrive Fausto D’Alessandro nella prefazione con cartesiana, consueta acutezza; ovvero lo sforzo che accompagna nel dolore il parto di ogni nuova creazione, di ogni nuova vita. Tale è lo spirito che ansima tra i suggestivi versi di Nuances, nobile sacrificio di Margherita a cui saremo sempre grati. Dio le conservi, direbbe Novalis, “questo dolore di infinita dolcezza”.