SETTE ANNI DI INUTILI INDAGINI CONTRO CHI SALVA VITE di Vittorio Alessandro
Nel 2017 si apre l’inchiesta Juventa: ventuno persone accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver soccorso migranti, e una nave, la Juventa appunto, posta sotto sequestro nel porto di Trapani. Si tratta dell’inchiesta più importante tra quelle sul soccorso civile nel canale di Sicilia, avviata sotto il governo Gentiloni, quando il ministro dell’interno Minniti per la prima volta apre il conflitto dello Stato contro le Ong, stringendo accordi con le milizie libiche per il diritto di inseguimento dei migranti e la loro detenzione a terra.
Una inchiesta che qualcuno ha definito, per questo, un giro di boa nella strategia dei soccorsi e della stessa cultura marittima italiana. Per il suo buon esito gli inquirenti non badano a spese: intercettazioni a strascico su avvocati e giornalisti, accertamenti tecnici, ingaggio di interpreti e testimoni, la nave lasciata a marcire in banchina. Per non parlare delle vite che avrebbero potuto essere salvate e invece rimaste in mare. Sette anni di indagini, cavalcate da Salvini come la prova regina dell’attività illecita del soccorso civile.
Ieri, finalmente, la procura di Trapani - l’accusa, insomma - ha smontato tutto e richiesto il non luogo a procedere per tutti gli imputati, perchè “il fatto non costituisce reato“.
La scelta coraggiosa del magistrato lascia comunque aperti molti dubbi inquietanti sulla stagione politica (tuttora in corso) aperta da Minniti e sulle ferite inferte all’impegno di uomini, delle istituzioni e del volontariato, sul soccorso in mare. Davvero, una brutta storia.