IL GIOCO DELLE VERITA' IN LEONARDO SCIASCIA di Margherita Biondo

Con spirito indagatore e senso di giustizia Leonardo Sciascia si è adoprato a rintracciare storie e a percorrere biografie dimenticate, risultanze processuali già liquidate in Cassazione, documenti letterari, giornalistici o di archivio. Pervasività di comportamenti e “codici d’onore” evidenziano il tema di fondo delle inchieste nelle quali lo scrittore di Regalpetra assume come penoso travaglio vicende esistenziali che sfociano nella responsabilità e nelle scelte che ciascun cittadino compie nei confronti delle Istituzioni, della collettività e della propria coscienza.

Nella realtà del suo tempo Sciascia vede l’Italia come paese “senza verità” e indirizza la struttura narrativa dei propri scritti a un’analisi critica e severa della cultura e della società siciliana in un’epoca in cui il malcontento non riusciva ad assumere una direzione politica e le sue caotiche evoluzioni convergevano nella sfera della polizia giudiziaria che spesso si collocava nella più complessa sfera del privilegio e della corruzione.

Demistificatore dei fatti e dei misfatti della vita pubblica Sciascia denuncia le aberrazioni del sistema giudiziario e della politica e con consumata astuzia letteraria rivela verità scomode e segrete, false deposizioni, voci di corridoio e trame occulte intessute sugli inganni e i soprusi dei potenti. Assumendo le inchieste come mezzo privilegiato per una riflessione politica e filosofica pone le sue accuse con gravità facendo contemporaneamente uso della denuncia e dell’ironia. L’ingiustizia, la colpa, l’assenza di moralità, i legami tra mafia e potere sono una costante di tutta la sua produzione dove, con temi aspri e polemici, viene denunciata la complessa realtà di un’isola caratterizzata da affari sporchi, grovigli di oscure connivenze e intrighi che tendevano a mostrarsi come lecite intese. Con finezza e divertissement la sua penna fruga nei

risvolti di casi misteriosi (appartengano essi al passato come “Il consiglio d’Egitto” o al nostro tempo come “Il caso Maiorana”) pregustando l’appassionante ricostruzione delle trame per trarne riflessioni originali. Un azzardo letterario testimonianza di un esemplare impegno civile che gli ha causato molte critiche e che ne ha fatto uno scrittore forse disilluso e deluso ma tenace, di forti passioni e animosità. Non a caso è stato uno dei primi ad occuparsi del fenomeno mafioso, anche con proposte di misure legislative, senza temere di imporre all’attenzione pubblica scomode rivelazioni. I temi eccellenti della sua opera evidenziano una struttura sottoforma di apparente costruzione razionale che conduce ad un’indagine contro lo sgomento e la criminalizzazione dello Stato borghese, alla lotta della cultura contro l’ignoranza e della parola contro il silenzio. Tuttavia Sciascia non può definirsi né un fautore verghiano del “ciclo dei vinti” né un garantista e dalle sue opere non trapelano redenzioni o trionfi del senso di giustizia ma solo consolatorie rese dei conti che non fanno vincere coloro che stanno dalla parte del giusto. Peculiarità della sua operazione letteraria è la sfiducia nei confronti di una società che vede trionfare solamente l’individualismo di ambiziosi eroi in una terra ricca di contraddizioni dove anche il processo contro un assassino (“Porte aperte”) diventa per il Governo un’occasione per autocelebrarsi e praticare impunemente l’arbitrio. I suoi sono i giorni in cui il retaggio del regime fascista e l’invasione alleata scatenano un gioco di tragicomici comportamenti in un ambiente di difficili verità dove le difficoltà del vivere umano si insinuano tra il lutto della recente guerra e le miserie del Sud. Appassionato dalla verità e dal filo razionale che la sorregge, Sciascia obbedisce agli impeti della coscienza e ai turbamenti dell’intelligenza in un ambito in cui la vita stessa è un delitto senza colpevole apparente. E nel suo corpus delicti, dove si ripete l’eterno duello della vittima contro il potente, lo scrittore scava nella natura umana e si rivela conoscitore dell’anima dei suoi personaggi anche nel privilegio dell’intrigo letterario dove il rigore logico che accompagna le pagine scritte svela architetture sintattiche su cui fondare dubbi morali e filosofici. Emblematico in proposito è il messaggio che nel romanzo “Il giorno della civetta” un anziano capomafia lancia al Capitano dei Carabinieri durante un interrogatorio in caserma: “la verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole e la luna, ma se si butta giù non c’è più né il sole né la luna, c’è la verità”. Proprio per la ricerca di un’ovvia verità Sciascia utilizza analiticamente la ragione tramite un atteggiamento morale che può identificarsi con un caparbio tentativo di smascheramento dei comportamenti umani pur nell’angoscia della scoperta di apparenze ingannatrici guidate dalla cospirazione e dal potere che egli disegna tracciando la consapevolezza della sconfitta.

“Il nostro – afferma nel libro “Il caso Moro” – è un paese senza memoria e verità e io per questo cerco di dimenticare” . Ma la verità che gli si presentava sempre davanti solleticava inesorabilmente la sua onestà intellettuale che egli non poteva fare a meno di aprire verso un processo inestinguibile in cui coraggiosamente metteva alle sbarre una società caratterizzata dalla pena del vivere, lo squallore, le indegnità e le ambiguità nascoste di quei decenni cruciali della nostra storia.