JOHN WILLIAM GODWARD: DIARO DI UN SUICIDIO D'ALTRI TEMPI di Margherita Biondo

Ogni artista, utilizzando il termine in maniera appropriata, ha una visione interiore dell'arte che sfocia in un rapporto morboso con le proprie opere e con il proprio processo creativo. L'artista crea ciò che sente dentro riportando sensazioni su una superficie che, prima della sua ispirazione, era senza vita. Un legame che può anche diventare pericoloso quando si vive in funzione dell'arte e in simbiosi con essa. John William Godward (Wimbledon, 9 agosto 1861 – Londra, 13 dicembre 1922) era un pittore inglese nato e cresciuto a Wilton Grove, nei pressi di Wimbledon. Tutta la sua vita fu contrassegnata da dissapori familiari. I suoi parenti, che già avevano osteggiato la sua scelta di diventare artista, interruppero ogni rapporto con lui quando se ne andò a vivere a Roma con una modella italiana di cui si era innamorato.

In Italia visse sette anni appassionandosi alla cultura classica, in particolare dell'antica Roma, a cui dedicò tutta la sua arte. I suoi lavori, tecnicamente ineccepibili, consistono in elaborati ritratti di ragazze che indossano abiti classici, spesso in posa su una terrazza di marmo. Non a caso fu seguace e molto vicino a sir Lawrence Alma-Tadema promotore de "La Scuola di marmo", del quale fu considerato il pupillo. La scelta di soggetti legati alla civiltà classica ne tradisce l'appartenenza alla tendenza, comune a tanti pittori del periodo del Neoclassicismo vittoriano che, attraverso il legame con l'antichità, consisteva nel riprodurre immagini di un sogno idealizzato e romanticizzato, tanto da far parlare di una visione del mondo da «vittoriano togato». La pittura di Godward si può definire romantica, espressione di sentimenti e stati d'animo, il cui soggetto è sempre lo stesso modello di fanciulla sensuale e materna, talvolta in compagnia di un amante, con l'abbigliamento tipico dell'antichità greca o romana e la posa che rievoca le statue di un tempo. Uno stile colmo di grazia, abbellito dalla presenza di piacevoli ambienti e da minuziosi dettagli, spesso floreali, e realizzato con mano sapiente e precisione tecnica. Fu un artista apprezzato e rimase popolare fino al 1920, epoca in cui la maggior parte dei dipinti in stile vittoriano diventò oggetto di scherno. Lo stile neoclassico ne fu colpito più di tutti. La seconda metà dell'800 fu un periodo storico fondamentale in cui l'Europa era costantemente scossa da movimenti popolari di liberazione che portarono all'Unità d'Italia. Era il momento delle avanguardie, il momento in cui "Les Demoiselles d'Avignon" di Picasso segnarono la nascita del cubismo. John William, forse perché non era in grado o forse perché non voleva cambiare il proprio stile di pittura, riuscì sempre meno a vendere i propri dipinti che ormai avevano perso il favore del pubblico e della critica. Non seppe reggere il confronto con le novità del primo novecento e quindi, in poco tempo, fu dimenticato. Situazione che lo fece piombare in una crisi profonda e che, all'età di 61 anni, lo portò a tornare in Inghilterra e a mettere la testa dentro un forno a gas. Si suicidò lasciando un biglietto di commiato dove motivava il suo atto con lo spregio della bellezza che vedeva essere invalso nella pittura, scrivendo che il mondo non era abbastanza grande per lui e per un Picasso insieme. La sua famiglia, indignata e vergognata dell'accaduto, distrusse tutte le sue carte e le sue immagini, tant'è che di lui non è rimasta neanche una fotografia. Il suo corpo fu sepolto a Londra e oggi i suoi quadri hanno acquistato il valore che meritavano sin da allora. L'artista è stato rivalutato per lo studio minuzioso dell'architettura e dell'abbigliamento classico che caratterizzavano i suoi lavori per l'originale marchio di autenticità. I suoi dipinti sono molto ricercati dai collezionisti: nel 1995 "Dolce far niente" è stato venduto all'asta per $ 567.000. Alcuni sostengono che se fosse nato venti anni prima sarebbe stato un artista dalla carriera luminosa dall'inizio alla fine e che i suoi insuccessi sarebbero da attribuire al fatto che non si è saputo adeguare ai tempi ed è rimasto sempre uguale a se stesso. Sicuramente chi si suicida non è felice e quindi ha fallito la propria vita. Il suicidio non è una soluzione ma una fuga dai problemi, veri o reali che siano. Secondo la teoria della "Strategia di fuga" si abbandona totalmente qualcosa a causa degli aspetti negativi della sua gestione. Tuttavia, la strategia di fuga è tipica, soprattutto degli insofferenti e degli inibiti, e può essere utilizzata occasionalmente dal debole o dal mistico. Nel caso di Godward ad un osservatore esterno è apparso chiaro che il vecchio e lo statico abbia cercato la morte come via di fuga da ciò che era troppo moderno. Tuttavia, riflettendo sulle motivazioni dell'atto, il suo sacrificio sembra più una fuga anomala dovuta non solo a mancanza di forza, non alla consapevolezza di una condizione di inferiorità umana fra gli umani, bensì all'attaccamento per eccesso di amore ad un genere pittorico che aveva fatto suo e col quale viveva una condizione assoluta di osmosi. Quel genere, e solo quel genere, stimolava la sua inventiva e lo entusiasmava mentre cominciava a rendersi conto di partecipare ad una società organizzata che lui non capiva e che non lo aveva capito. Ed è all'arte, intesa come una delle più alte manifestazioni dello spirito, e non all'inferno che ha sacrificato la propria vita per difendere un rapporto di forte appartenenza e di complicità che andava oltre ogni apparenza, che diventava autocreazione e che lo portava all'autoannientamento. A mio parere, morendo quel genere di arte, Godward ha voluto morire con lei non solo per fallimento e per inadeguatezza ma soprattutto per amore, come se fosse stata la cosa più necessaria, la più alta. Comunque sia una cosa è certa: con le sue opere ha contribuito a rendere l'arte eterna come è giusto che sia.