TURISMO. INTANTO RENDIAMO AGRIGENTO PIU' BELLA PER NOI di Vincenzo Campo
Giovanni Taglialavoro è intervenuto sulle colonne di questo giornale con un suo interessante e condivisibile articolo sulla questione del turismo ad Agrigento, sul Parco, sulla città, sulla Valle. Per la verità, stanco delle concioni sulla questione e di concionare anch'io, mi ero ripromesso di non parlarne più. Perché? Perché non c'è cosa più inutile “d'u pistari l'acqua nn'u murtaru”, come si direbbe nella nostra lingua madre. Però l'articolo di Giovanni mi stuzzica e mi sollecita, e chissà che non possa darsi corso ad un dibattito serio che, abbandonata la frittura dell'aria, ci porti alla concretezza dell'azione, a discutere seriamente della questione e a porre le basi per un serio e reale sviluppo del turismo nella nostra Città: vedo fattori positivi, come la fattiva direzione del Parco di Roberto Sciarratta e la buona volontà dell'assessore comunale al ramo, Francesco Picarella. Chissà che...
Il problema fondamentale, io credo, è che il turismo non s'inventa e l'oggetto del turismo, ciò che attrae turisti, non è un manufatto; non è un "prodotto" da fabbricare e vendere; non è un "oggetto" e non è un "servizio"; è piuttosto un "che" -non so nemmeno definirlo- che, in buona misura, prescinde dalla volontà e dalle intenzioni di chi lo "possiede"; non è stato fatto per essere "venduto" o comunque offerto, ma è stato realizzato per soddisfare interessi, diletto e piaceri propri di chi l'ha fatto.
Un esempio chiarisce la mia idea, che appare forse nebulosa: c'è qualcuno che immagina che Venezia o la Piazza dei Miracoli di Pisa o anche la nostra Collina dei Templi siano state progettate, costruite e realizzate splendide così come sono per essere "vendute" agli americani danarosi?
Certo che no.
Noi oggi ci troviamo comodatari (semplici detentori, non proprietari né possessori) dell'enorme patrimonio storico, artistico e culturale che la natura e il buon Dio prima e poi chi ci ha preceduto -greci, romani, musulmani e normanni- ci hanno lasciato e che è Agrigento; non solo i Templi e la loro splendida Valle, ma anche la Città vecchia, il suo mare e la sua costa.
Noi, e le generazioni che ci hanno preceduto, avremmo avuto il dovere di preservare e di mantenere questo patrimonio che non è nostro, del quale non siamo i signori esclusivi.
Noi, senza che io voglia fare processi a nessuno, invece, lo abbiamo non-curato, trascurato, spesso maltrattato, abbandonato.
Noi, come sottolinea Giovanni Taglialavoro, abbiamo persino stentato a comprendere il valore e l'importanza dei Templi e della Valle. Abbiamo dovuto attendere il disastro della frana, le conseguenti indagini e la discussione che si è aperta e che ha fatto diventare Agrigento questione nazionale e internazionale. E come pure sottolinea Giovanni Taglialavoro, li abbiamo persino considerati, Templi e Valle, una sorta d'inciampo per la nostra (asfittica) economia che si fondava sulla sola attività costruttiva.
E forse ancora stentiamo a comprendere che la Città vecchia, quella araba e quella normanna, siano di gran valore e che sarebbero "cose" di prima grandezza se non ci fosse la Valle che, com'è naturale e ovvio, abbaglia chi guarda a sud ovest.
Quella l'abbiamo proprio abbandonata al suo destino, l'abbiamo ridotta a periferia fra le tante che compongono questa (urbanisticamente) strana città di Agrigento, che poliperiferica, occupa uno spazio esagerato rispetto al numero dei suoi abitanti e che, purtroppo, mostra la sua povertà.
Un discorso sul turismo, qualunque discorso sul turismo, perciò non può prescindere da un discorso sulla città nel suo complesso, di quello che è di quello che ne vogliamo fare.
Beirut, diceva Giovanni Taglialavoro. Magari fosse Beirut, che in qualche parte è anche assai peggio, là dove manca pure il folcloristico e il pittoresco, com'è tutta la zona a valle della via Manzoni, che onomasticamente dedicata al Risorgimento, del Risorgimento fa sfregio: via Fratelli Bandiera, via Rapisardi, via Vincenzo Monti, via Solferino...Allora? Allora la città va rivista tutta, quanto meno ai fini del turismo, quella parte della città che occupa le due colline e quella che prospetta sul mare.
È necessario un intervento complessivo che restauri quanto c'è da restaurare, con l'impegno e il coraggio che sono necessari; perché Agrigento è la nostra casa, ed è necessario che la nostra casa sia vivibile e bella per noi stessi se abbiamo addirittura la pretesa di ospitare altri.
Ci vuole coraggio perché, io credo, sarà necessario rimuovere superfetazioni e aggiunte, di qualunque epoca siano, che imbruttiscono e guastano, che sono disarmoniche.
E' necessario un progetto complessivo di amplissimo respiro che faccia rivivere la Città, che è assolutamente spenta, asfittica, morente.
E nel mentre non facciamo nulla?
No. Nel mentre, avuta chiara l'idea della Città futura, saputo cosa vogliamo fare di noi stessi e del luogo che ci ospita -dobbiamo, insisto e sottolineo: "dobbiamo" e non "possiamo"- dobbiamo cominciare a fare quello che si può e che si deve.
Innanzi tutto, dunque, dobbiamo progettare la Città futura, e non è cosa da poco: è lavoro arduo che necessariamente coinvolge competenze e interessi fra i più disparati. Prima fra tutti la politica, intesa nel senso più ampio, perché, è ovvio, è dalla visione che si ha del mondo e della società che poi dipendono tutte le scelte che sono da farsi.
Dopo di che, facciamo. Facciamo tutto quello che è in nostro potere fare e che sia in qualche modo anticipazione della Città futura, che sia armonico rispetto a quel progetto generale e di massima, e non facciamo nulla che sia distonico e disarmonico rispetto a quello stesso progetto.
Facciamo. Facciamo sì che Agrigento sia d'interesse e non solo per i templi, l'archeologia e la Valle.
Progettiamo per tempo gli "eventi" che potrebbero costituire un'attrattiva per i possibili ospiti e non si riducano alla sola soddisfazione del nostro diletto; mettiamo in cantiere le iniziative e facciamole conoscere al mondo: inseriamoci nella fase ideativa del viaggio del nostro potenziale ospite, se vogliamo che rimanga qui oltre il tempo strettamente necessario per la visita canonica dei templi principali -che, anche a restare nell'ambito dell'archeologia, i più non vanno neanche al Quartiere ellenistico-romano o al tempio di Esculapio o a quello delle Divinità rupestri; per non dire di Efesto, che resta fuori da ogni possibile circuito ed è persino chiuso fra cancelli.
Ripensiamo alla Settimana pirandelliana, inventiamoci qualcosa che leghi l'arte, il teatro, lo spettacolo o anche solo l'intrattenimento alla nostra storia, al nostro passato; le Feste di Persefone? e perché no! le recite all'alba del tempio di Giunone? ma certo! ma progettate e comunicate per tempo. Ma anche altro, cose nuove.
Aeroporto? ma va! per la nostra utilità e il nostro comodo e non certo per incrementare il turismo.
L'ospite-tipo della Sicilia di oggi è uno che progetta individualmente il suo viaggio, che prende un aereo e noleggia un'automobile; progetta e realizza un giro, rispetto al quale è indifferente arrivare o partire da questa o da quell'altra città, ma è necessario o opportuno visitare questo o quell'altro luogo.
Piuttosto, a questo proposito, dovremmo farci promotori di un movimento che reclami la realizzazione di infrastrutture di collegamento che rendano possibile raggiungere agevolmente Agrigento e da qui andare non solo negli altri centri che sono già di interesse turistico, ma anche in quelli che potrebbero o dovrebbero esserlo. Penso a Bivona, a Caltabellotta, a Burgio, a Naro -solo per fare degli esempi: la Città, i templi, i dintorni.
E poi, personalmente sogno una ferrovia che colleghi le città siciliane e dissuada l'uso dell'automobile.
Ma questo è davvero onirico, e mi fermo qua.