APPUNTI SUL BENESSERE SOGGETTIVO E IL PAESAGGIO* di Gaetano Gucciardo

Oggi, in questa occasione in cui ci stiamo confrontando sul valore del paesaggio per lo sviluppo, parlerò del concetto di benessere soggettivo e ve ne parlerò perché stiamo curando come Università di Palermo una ricerca sul benessere soggettivo dei cittadini di Agrigento. Si tratta di una ricerca finanziata dalla Fondazione PLEF nell’ambito del premio Bezzo conferito a due ristoratori di Agrigento per i loro meriti non solo sul piano gastronomico ma per avere coniugato l‘offerta gastronomica con la qualità ambientale e la qualità sociale. Il premio è anche un premio alla città e si sostanzia in un progetto di ricerca che può servire alla città stessa per conoscersi e per orientare le proprie scelte.

I sociologi non possono trattare il tema del benessere senza fare riferimento alla deprivazione relativa. Il benessere non dipende soltanto dal possesso dei beni che riteniamo necessari, dipende anche dal possesso di beni (siano essi materiali, siano immateriali) che riteniamo di dover possedere nel confronto con gli altri ma anche nel confronto con le nostre aspettative. Questo comporta situazioni apparentemente curiose per cui capita che chi ha di meno sia più soddisfatto di chi ha di più e, una volta ottenuto ciò cui si aspirava, i mli vecchi, come diceva Berlin, sono dimenticati. E così sembra che siamo fatti per non accontentarci mai (e, d’altra parte, questo racconta il primo dei racconti biblici del paradiso perduto per una mela)

Ma c’è anche il paradosso della disabilità. Le persone con disabilità, anche quelle che la subiscono nel corso della vita o che si ammalano in modo cronico, mostrano livelli di soddisfazione della vita decisamente superiori a quelli che ci si potrebbe aspettare e persino non molto lontani da quelli di chi non è gravato da simili problemi. Dunque, se la deprivazione relativa sembra dirci che non ci accontentiamo mai, è anche vero che, invece, sappiamo accontentarci.

L’indicatore canonico del benessere è, com’è noto, il reddito. Ora, che il reddito non basti non solo per rilevare ma anche per ottenere il benessere, per stare bene, lo diceva persino Kuznets che è quello che ha inventato il Pil, proprio lui. E a questo proposito non si può non richiamare il paradosso di Easterlin.

Negli anni Settanta Easterlin mise in luce che fra incremento del reddito e incremento della felicità non c’era un rapporto così stretto, sembrava che all’aumentare del reddito, oltre una certa soglia, non corrisponda un equivalente incremento del benessere, anzi esso tenderebbe a diminuire. Questo ha fatto pensare quanto il benessere abbia bisogno di un appagamento di bisogni che non siano esclusivamente materiali, ha fatto pensare che una crescita materiale non valeva la pena di essere perseguita perché non produceva crescita di benessere. Oggi, senza esagerarne la portata, possiamo dire che la felicità non è affatto insensibile al reddito ma che esso, oltre una certa soglia, ha un rendimento decrescente rispetto al benessere.

Ebbene, come si sarà capito e come si intuisce abbastanza facilmente, il benessere ha diverse dimensioni, c’è quella materiale e quella immateriale, a cui ho accennato prima ma c’è anche quella oggettiva e quella soggettiva. C’è, per la dimensione oggettiva, il Pil, cioè, su scala individuale il reddito pro capite e c’è l’Indice di Sviluppo umano delle Nazioni Unite che combina un indicatore economico con uno relativo alla salute (la speranza di vita) e uno alla cultura (il livello di istruzione). La dimensione soggettiva del benessere riguarda, invece, la definizione soggettiva della propria condizione e questa dimensione, a sua volta, si compone di due elementi: quello cognitivo e quello affettivo. Il primo ha a che vedere con il livello di soddisfazione per la propria vita e dunque col giudizio che ciascuno dà sulla propria vita. L’elemento affettivo ha invece a che fare con le emozioni vissute quotidianamente, quindi con la vita affettiva che è tramata di emozioni quali rabbia, gioia, divertimento, preoccupazione, ansia, riposo, allegria.

L’Italia è all’avanguardia nella ricerca su questo tema perché l’Istat ha elaborato il BES, l’indice del benessere equo e sostenibile che si compone di ben dodici indicatori i quali a loro volta si compongono di ulteriori indicatori che combinano la dimensione soggettiva e quella oggettiva.

Una dimensione alla quale bisogna prestare attenzione è l’idea che si ha del benessere altrui. C’è una gravissima dispercezione. Nel mondo, mediamente, la gente pensa che gli altri stiano molto meno bene di quanto effettivamente non sia, con una sottostima media di oltre il 40%. Sostanzialmente pensa che stia male. Questo non può non avere effetti negativi sul proprio stesso benessere. Se si pensa che gli altri stiano male è probabile che si agirà conseguentemente, con effetti depressivi non trascurabili sul piano collettivo. Ma questa è una ricerca che merita ulteriori dati e approfondimenti. Lo stiamo facendo anche nella nostra ricerca su Agrigento.

I dodici domini del BES sono:

  1. salute;

  2. istruzione e formazione;

  3. lavoro e conciliazione tempi di vita;

  4. benessere economico;

  5. relazioni sociali;

  6. politica ed istituzioni;

  7. sicurezza;

  8. benessere soggettivo;

  9. paesaggio e patrimonio culturale;

  10. ambiente;

  11. innovazione, ricerca e creatività

  12. Qualità dei servizi

Come si vede c’è anche il paesaggio. La Convenzione europea del paesaggio (del 2000) riconosce il ruolo del paesaggio per il benessere. Il paesaggio è parte costitutiva del benessere e, purtroppo, la rilevazione del giudizio sul paesaggio ha un livello di disaggregazione che non scende sotto il livello regionale e questo è un limite perché il paesaggio è invece locale che dovremmo poter disporre di un livello analitico appunto comunale per valutare in che misura il paesaggio incida sul benessere. Ma non mancano degli studi. Quello che i dati ci dicono è che il giudizio sul paesaggio è peggiorato (nel Mezzogiorno).

Per concludere si potrebbe dire che non ci accontentiamo ma sappiamo accontentarci (ricordo un racconto di Antonio Tettamanti su “Suddovest” Nenti ci fa). Naturalmente dipende verso cosa collettivamente si punta l’attenzione. È qui che entra in gioco il paesaggio. C’è stata un’epoca nella quale ad Agrigento il paesaggio non era affatto ciò che andava curato. La relazione della commissione Martuscelli, quella studiata nei corsi di urbanistica e redatta per rendere conto della speculazione edilizia di Agrigento degli anni Cinquanta e Sessanta, spiega, per esempio, come la commissione per la tutela dei punti di vista belvedere della città invece che rilasciare i nulla osta in ragione della tutela del belvedere, scriveva alla regione per contestare i vincoli. La pressione economica era verso l’edificazione e non c’era resistenza culturale e politica che potesse fare granché. E poi c’è stato l’abusivismo edilizio. Negli anni Settanta e Ottanta il novanta per cento dell’edificato era abusivo. Poi qualcosa è cambiato.

Lasciatemi concludere evocando una delle città invisibili di Calvino. Quando Calvino parla di Zenobia spiega che non ha senso classificare le città fra le felici o fra le infelici. Le città si dividono in altre due categorie “quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati” che potremmo semplificare ritenendo che ci sono città che hanno desideri che confliggono con la loro peculiarità e che dunque o sono trasformate dai desideri oppure li soddisfano. Agrigento per anni ha rischiato di essere cancellata dai propri desideri perché il luogo comune voleva che la “vocazione” della città fosse quella di espandersi verso il mare e se fra la città e il mare c’era la Valle dei templi, tanto peggio per la Valle. Lo scriveva un sindaco, sindaco e poi senatore fino agli anni Novanta: “La Valle era la piovra che stava stritolando l’economia cittadina”. Ecco, quella era un’epoca in cui i desideri degli agrigentini erano in conflitto con la città. Oggi forse i desideri degli agrigentini si stanno allineando all’identità e alla peculiarità della città e iniziative come questa in cui si dibatte del ruolo del paesaggio per lo sviluppo sono uno dei segnali di questo cambiamento.

*Testo dell’intervento al convegno “Paesaggio e patrimonio culturale. Per un turismo sostenibile e sviluppo dell’economia locale” svoltosi il 5 settembre 2019 nello Spazio Temenos nell’ambito di UtopiaFest