PER CERONETTI GLI ITALIANI SONO NATI PER ESSERE POVERI di Pepi Burgio

Quale la città più volgare d’Italia, si chiedeva anni fa Guido Ceronetti. E tutti a pensare a Roma, Napoli, Palermo. O Milano, considerando l’avversione del poeta ai frenetici ritmi della modernità metropolitana. Nient’affatto, è Firenze, il suo centro storico periodicamente evacuato manu militari per consegnarlo come fondale, location stavo per dire, alle varie declinazioni di Pitti: Pitti uomo, Pitti Donna, Pitti bambino, etc.

Il Signore benedica chi ha inventato le stazioni ferroviarie, sì che si possa fuggire da qualche parte, concludeva sconsolato l’autore dell’articolo, che non registrò allora l’attenzione che avrebbe meritato.

Ceronetti, già qualche anno prima, nel 1983, ai tempi della pubblicazione del suo bellissimo Un viaggio in Italia, aveva speso veraci parole di fuoco nei confronti di un altro luogo sacro del turismo nostrano e internazionale, Taormina. 

Ma a Taormina non si può che essere disperati. C’è il malignissimo sortilegio turistico che cancella ogni rapporto con la realtà: nel turismo non esistono né la vita né la morte, né la felicità né il dolore; c’è soltanto il turismo, che non è la presenza di qualcosa, ma la privazione, a pagamento, di tutto. I turisti sono ombre (…). Taormina sembra creata dal diavolo, una città, una montagna della menzogna e dell’illusione, dove nessuno vive e nessuno muore, tutti si riempiono e tutti sono vuoti. Il regno delle ombre, eccolo. Me ne vado a precipizio, con orrore. L’inferno turistico è tra i peggiori, perché ti senti sepolto, impiramidato nella stupidità, e hai paura di essere dimenticato là sotto, che nessuno venga a tirartene fuori. E Taormina è chiusa, di faticoso accesso; questo rafforza il panico: ne uscirò mai più? 

Pochi giorni fa, con un editoriale di grande spessore sul Corriere, Galli della Loggia elencava i numerosi motivi dell’imbruttimento del nostro paese, ma riteneva non ancora del tutto irreversibile il crinale drammatico assunto dal degrado della sua vita sociale. Speriamo abbia ragione. Ma, nel giorno in cui il Teatro dei sensibili piange in Guido Ceronetti la scomparsa del suo capocomico, è impossibile non ricordare alcune sue accorate parole dei primi anni ’80.

Questo era un popolo fatto dalla povertà, nato per essere povero; il denaro l’ha fritto come in un’enorme padella, e oggi la sua faccia è annerita, ustionata. Solo in qualche vecchio o vecchia ritrovo barlumi di umanità così intensa e placata da dare capogiri di commozione, sono facce di martiri, lavorate dall’antica miseria e dalla saggezza povera che la miseria gli scolpiva, ma non posso guardare negli occhi nessuno perché subito provano disagio e si insospettiscono. 

E infine, ancora da Un viaggio in Italia, un’ultima sconfortata visione. 

Quel che era un popolo di vinti, di piegati con dignità, è ora di incurabili cretinizzati. 

Come dargli torto?

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