'PASTORALE AMERICANA' E DOPO FU SILENZIO di Pepi Burgio
La vita, l'amore, la morte, il sesso. E gli adulti che non sanno cosa fare, che non sanno cosa dire di fronte all'allentarsi d'ogni freno inibitorio, proprio ed altrui. Con ordine: occorre trovare un significato alla follia; rendere impotente ogni autorità; intimidire chiunque, specie gli adulti, fino a ridurli alla rassegnazione sorda, all'aprassia e all'afasia; (...é la mancanza di rabbia che finisce per uccidere. Mentre l'aggressività depura o guarisce.).
E quindi, come in una implacabile spirale regressiva, dare sostegno ad una cultura di ebeti, marcata dalla fierezza della propria superficialità e dalla vuotaggine, sì, però sincera: la sincerità che è peggio della falsità e l'innocenza che è peggio della corruzione. Tutta l'avidità che si nasconde sotto la sincerità. E sotto il gergo. Questo splendido linguaggio che hanno tutti - in cui sembrano credere – queste chiacchere sulla loro ‘mancanza di autovalorizzazione', quando l'unica cosa di cui sono sempre convinti, in realtà, è di avere diritto a tutto. L'impudenza la chiamano tenerezza, e la crudeltà è camuffata da ‘autostima' perduta. E gli adulti che continuano a non sapere cosa fare e cosa dire, spettatori catatonici della truffa che questi ragazzi hanno messo in piedi. L'iperdrammatizzazione delle emozioni più insignificanti.
Senza dubbio però, c'è voluto impegno per proporsi con un linguaggio che ha messo in soffitta Herbert Marcuse per preferirgli quello, sincero e immediato, of course, di Monica Lewinsky.
Il linguaggio che usano è una summa della stupidità degli ultimi quarant'anni. Ma stavolta c'è qualcosa di più dell'ironia yiddish, spesso tagliente, talvolta drammatica. Stavolta i figli hanno fatto esplodere l'ordine sacro della pastorale americana, e la middle class si ritrova il Vietnam fra le mura domestiche. Nel furore, nella violenza e nella disperazione della contropastorale: nell'innata rabbia cieca dell'America. E ancora una volta, come di fronte ad un oscuro vicolo senza sbocco, gli adulti, che dei figli sono padri e madri, non sanno cosa fare, non sanno cosa dire. Ecco, vedi come reagisce la gente davanti a un essere umano in pericolo? Non sanno cosa fare. Nessuno sa cosa dire e cosa fare.
Ora che Philip Roth se ne è andato, tengo con cura tra le mani il suo romanzo più bello e struggente. Reca in copertina una intensa fotografia di Mattew Klein: tutto, uomini e cose, sembra collocato con sereno equilibrio laddove è bene che stia, in un tempo sospeso e gravido di promesse. Ma su di esso incombono le fiamme e la fine di ogni illusione. Un solo appunto: ad essere impazzita è la storia dell'intero occidente, non solo quella americana.
Da qualche anno Roth non scriveva più, forse perché consapevole che solo il silenzio si addice dopo un romanzo come Pastorale americana; forse perché, come è detto in Everyman, la vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro.