I DEMONI E L'INSOSTENIBILE PESO DELLA LOGICA (E DELL'IRONIA) di Giandomenico Vivacqua

È il 1990, a Palermo il mondo universitario è agitato dall'ennesimo movimento studentesco, quello della Pantera, occupazioni, assemblee, colli fasciati dalla kefiah, emozioni fuori ordinanza e mozioni d'ordine, eco di cose appassite al sole di un maggio ormai lontano. Studente fuori sede, arrivo una mattina in facoltà, per discutere col relatore alcuni aspetti della tesi di laurea. Da mesi non ci sono più lezioni né esami, sostituiti da liberi seminari, statici o peripatetici, in cui docenti e studenti tentano, estemporaneamente, di ridurre tra di loro le distanze, che a Giurisprudenza, contrariamente che a Lettere, ancora esistono e marcate. All'ingresso del chiostro della storica sede di via Maqueda, mi colpisce un avviso affisso alla bacheca, a un tempo sinistro e ingenuo. I capi del movimento invitano tutti gli studenti democratici a vigilare, perché sono venuti a conoscenza del fatto che le forze dell'ordine hanno infiltrato degli agenti all'interno della facoltà occupata. Gli stessi, viene spiegato, sono facilmente riconoscibili dal taglio dei capelli, portati molto corti, alla maniera dei militari. Fatico a credere che quel grottesco documento sia l'effettivo risultato di un'attività di controspionaggio condotta da futuri giuristi. Penso ad una pasquinata o ad un esaltato fuori controllo. Ma un'inquietudine rimane. Penso a Bachelet, a Ruffilli, gli anni Ottanta, in fondo, non sono affatto lontani. Poi mi distraggo. Ecco il mio professore, saggio, ironico, sapiente. Parliamo qui, mi dice, che c'è un bel sole e non mi va di chiudermi in dipartimento. E per una buona mezzora lo tedio, passeggiando, con le mie futili intuizioni sulla vera natura del delitto preterintenzionale.

Due figure si avvicinano. Le avevo scorte poco prima, sotto gli archi, mentre confabulavono in una penombra caravaggesca, ed avevo avuto l'impressione che ci guardassero. Uno lo riconosco, è il capo in testa dell'occupazione, la mente pensante, ha rilasciato diverse interviste, ha partecipato ad una famosa trasmissione di Rai 3, è un personaggio noto, oramai, un leader. Fuori dallo schema termidoriano, è uno studente come me, l'ho incrociato molte volte ai corsi, agli esami, non mi aveva particolarmente colpito, né per il tratto umano né per la scienza. L'altro, che nell'approssimarsi rimane leggermente defilato, corpulento, ottuso, sembra perfetto per il ruolo di gregario e guardaspalle che nella mia immaginazione prontamente gli assegno.
Devo invitarla a lasciare la facoltà. Si rivolge a me, il capo, serio e perentorio, dandomi del lei. Sgrano gli occhi, mi sforzo di mostrarmi sorpreso, indignato. L'indignazione c'è, in effetti, ma la sorpresa no. Avevo presentito tutto, mentre si avvicinavano e mi erano parsi gli scarti di lavorazione del capolavoro dostoevskiano, I demoni. 
Perché? Lo chiedo per curiosità intellettuale, più che altro.
Lei non è uno studente di questa facoltà - risponde il capo - l'hanno riconosciuta, lei è il fratello del segretario provinciale del Partito Socialista di Agrigento. 
Lui è un mio studente e voi - interviene il maestro - tra le molte cose che non avete compreso, non ultima è la logica aristotelica, ché sì può essere fratelli del segretario provinciale di un partito di governo, che già di per sé non mi sembra una ragione ostativa all'ingresso in facoltà, e studenti di Giurisprudenza al contempo. 
Feriti dall'ironia del professore, confusi, i due regrediscono, tornano al coperto, di dissolvono mell'ombra cospiratoria che li aveva generati. 
Qualche tempo dopo, con la restaurazione, mi sono laureato. Il professore Giovanni Fiandaca è rimasto un riferimento culturale e sentimentale della mia vita, è stato testimone delle mie nozze, lo chiamo ogni tanto, quando leggo qualcosa che ha scritto e sento il bisogno morale di dirgli quanto mi sia piaciuta e mi abbia migliorato. Negli ultimi anni, più volte su di lui, anche su di lui, torbido e maligno, è caduto lo sguardo dei demoni. Alte gerarchie luciferine, non i poveri diavoli studenteschi che tentarono di cacciarmi dalla mia facoltà. Mi rammarico di non essergli fisicamente accanto, quando accade, ma poco o nulla, in effetti, potrei fare io per lui, che lui già non possa con la sua forza intellettuale. Del resto, di basso o di alto rango, oggi come ieri, i demoni sono vulnerabili ai principi della logica di Aristotele. La soffrono, la temono, quasi quanto l'acqua benedetta.

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