ROBERTO CALASSO. L'HOMO SAECULARIS O DELLA INCONSISTENZA di Pepi Burgio

Sommersi come siamo da un fiume di parole e immagini insignificanti e fra loro indistinte, come per incanto arrestiamo per un po’ il flusso della corrente che ci sta inghiottendo con le emozioni che procura un testo.
Ho letto da poco L’innominabile attuale di Roberto Calasso, notevole narrazione saggistica nella quale ho rilevato alcuni spunti interessanti che propongo attraverso un’elencazione frammentaria ma non del tutto arbitraria: le società secolari hanno voluto diventare organiche; in questo Marx e Rousseau, ma anche Hitler e Lenin [...] hanno trovato una fugace concordia. Organico è bello per tutti. Nessuno si azzarda a dire che la deprecata atomizzazione della società può essere anche una forma di autodifesa da mali più gravi.
Ma chi è con esattezza l’uomo che abita le società secolari, e vivendo già con ansia il proprio tempo, è costretto a registrare il prevalere dell’inconsistenza sull’ansia? Per Calasso è l’homo saecularis, tratteggiato in questo modo: homo saecularis non deve nulla a nessuno. Sta per sé. Non ha nulla dietro se non ciò che fa. Inevitabile un senso di incertezza, perché poggia su qualcosa di instabile e sospetto di inconsistenza. Il piacere dell’arbitrio è guastato da quell’inconsistenza. Homo saecularis parla con molte voci, spesso divergenti. Quella che più si fa notare è progressista e umanitaria. [...] i secolaristi parlano con una compunzione da ecclesiastici e gli ecclesiastici ambiscono a farsi passare da professori di sociologia.

L’uomo religioso, dice Calasso, osserva i precetti anche quando essi possono apparire un fardello insopportabile; l’uomo vedico nasce afflitto da quattro debiti verso gli dei e verso gli uomini; l’homo saecularis invece, affrancato da ogni vincolo, smaltita l’iniziale sfrenatezza, sperimenta il drammatico svolgersi della propria inconsistenza e di quella che lo circonda. Nella perplessità, nella confusione, negli entusiasmi passeggeri o nella profonda depressione, galleggia l’uomo del secolo: I secolaristi non sono felici.
E inoltre, prima dell’esemplare finale, le riflessioni amare, quasi aforistiche dell’autore sull’informazione: L’informazione non tende soltanto a sostituirsi alla conoscenza, ma al pensiero in genere, sollevandolo dal peso di doversi continuamente elaborare e governare; su Kafka, a proposito dell’attenzione come preghiera naturale dell’anima, secondo la beata definizione di Malebranche; su Céline e la sua disaderenza al mondo, allorché scrivendo sbotta: proclamo alto e forte, emotivamente, tutto il nostro marciume comune di UOMO, di destra o di sinistra. E questo non me lo perdoneranno mai. E ancora Junger, Grossman, Carossa e tanti altri e tanto altro ancora. Con uno stile sobrio, elegante, di grande equilibrio, sopratutto quando i temi affrontati porterebbero ad inclinare verso il ridondante.
Infine, le due pagine conclusive, la descrizione del sogno-incubo di un Baudelaire visionario e profetico, e il ribadire con poche essenziali parole la sconcertante verità enunciata fin dal titolo in questo bel libro.

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