PERIFERIE. AGRIGENTO CITTA' 'STRAVACCATA' CON UN CENTRO PERIFERICO di Gaetano Gucciardo

Agrigento è una città con una estensione geografica enorme anzi abnorme rispetto alla sua popolazione. Gli americani lo chiamano sprawl, come dire “stravaccato”. È un tratto comune a tutte le espansioni urbane dopo l’avvento dell’automobile. Quando le città e i sobborghi si addensavano secondo il passo del pedone conservavano anche una identità fisica. E l’hanno conservata anche quando è stata introdotta la mobilità pubblica su rotaia. Le città e i sobborghi avevano confini chiari. L’automobile ha rotto questi vincoli e le città si sono smarginate, “stravaccate” sul territorio.

Anche Agrigento ha conosciuto questo processo reso ancora più complicato dai vincoli derivanti dalla Valle dei templi. La città ha conosciuto una espansione profondamente e sostanzialmente abusiva. E laddove invece l’espansione è stata pianificata la qualità urbanistica è rimasta latitante. Sono stati costruiti sobborghi con una manifesta finalità di dormitori. Non una piazza, non una villa.

La suburbanizzazione di Agrigento è così marcata da collocare la città ai vertici nazionali nella graduatoria dei residenti nei sobborghi. Ben il 41% dei residenti, secondo l’ultimo dato di censimento disponibile (quello del 2001 – ma non c’è motivo di pensare che le cose siano cambiate), vive fuori dal centro urbano mentre la media nazionale è di poco superiore al 10%. Solo tre città in Italia hanno percentuali più alte: Venezia con il 78,7%, Ravenna con il 45,8%, Vibo Valentia con il 43,5%.

La suburbanizzazione di Agrigento peraltro si combina anche con un’alta dispersione della popolazione. Agrigento non ha più confini; è sparpagliata in un’area vastissima. Intanto declina il centro urbano nella sua dimensione vitale del commercio ormai semi-monopolizzato dal centro commerciale.

Se in periferia mancano gli spazi pubblici, in centro viene meno quel capitale pubblico derivante dall’uso pedonale delle strade associato alla funzione professionale, amministrativa e commerciale. Il decentramento degli uffici (pubblici e privati, dal tribunale agli studi legali), associato a quello degli esercizi commerciali, priva le strade dei suoi fruitori essenziali e questo fa perdere, secondo la classica lezione di Jane Jacobs, capitale sociale alle vie e ai quartieri. Si deteriora quella risorsa inavvertita che genera sicurezza e familiarità con le strade.

Quello che accade alle città, accade alla società globale. Il capitalismo nell’era dell’economia informazionale è organizzato in centri di comando e di controllo disseminati nel mondo, i nodi di una rete globale che connette flussi finanziari e di informazioni. Ci sono nodi che godono di vantaggi posizionali che li fanno diventare rapidamente nodi di nodi, hub di iperconcentrazione di capitali, informazioni e potere. E mentre si creano gli hub, si creano i buchi neri, come li chiama Castells, dell’era informazionale, luoghi che non contano nulla e a cui non arrivano neanche le briciole dell’enorme ricchezza prodotta.

La rete collega i nodi anche più distanti fra di loro più di quanto i territori limitrofi siano legati al nodo loro più prossimo. Ed è così che Londra è più vicina a New York di quanto lo sia all’Inghilterra profonda; e New York è più vicina a Parigi di quanto lo sia agli stati del profondo sud americano e Istanbul è più vicina a Berlino di quanto lo sia alla Turchia rurale. Non è un caso che i voti delle elezioni americane, del referendum per la Brexit inglese e per la riforma costituzionale turca si dislochino lungo il cleavage centro-periferia, urbano-rurale, grandi città-città medio-piccole.

Iacono ha scritto qui qualche giorno fa che le periferie sono luoghi dell’invidia perché ridotti a meri luoghi del dormire, senza vita pubblica, senza attrazioni, senza negozi, spettacoli, momenti condivisi. E, Farruggia richiama l’esortazione teorica e politica della migliore tradizione urbanistica, che pensa a come trasformare le periferie in luoghi dell’abitare.

Per ricucire il centro alla periferia dalle colline inglesi, alla lande turche, dai campi di mais del Midwest al mezzogiorno italiano, ma anche – più in piccolo – le periferie di Agrigento con se stesse e con il centro urbano, serve una restituzione di potere, legittimità e risorse ai poteri pubblici che sembra lontanissimo dalle prospettive e dagli orientamenti prevalenti anche fra le forze politiche di opposizione così abili a cavalcare l’ondata dell’antipolitica che è l’altra faccia del liberismo per il quale è sempre meglio affidarsi al mercato che alla mano pubblica.

 

categorie: