PERIFERIE, TRASFORMARLE IN LUOGHI DELL'ABITARE di Gioele Farruggia
Con la riflessione di Maurizio Iacono abbiamo aperto una discussione sul tema delle periferie e dell'abitare. Oggi interviene un giovane architetto, studioso di urbanistica. Tanto il filosofo Iacono che l'architetto Farruggia sono agrigentini, così è legittimo supporre che dietro le loro figure teoriche ci sia, frustrante, l'esperienza della figura slabbrata e anodina della nostra città. Ci piacerebbe che continuasse, questa discussione, anche trascorrendo dalla quota teorica a quella storica, dal paradigma alla testimonianza, dall'analisi alla visione, dall'anatema alla profezia. E viceversa. G.V.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo indebolimento del dibattito sociale e politico, e dunque dell’elemento su cui principalmente si basa il rapporto fra l’urbanistica e la comunità. L’articolo dell’illustre prof. Alfonso M. Iacono rappresenta un’ottima occasione per riaccendere il dibattito mai risolto sull’annoso tema delle periferie urbane. La chiave di lettura sociologica proposta dal professore evidenzia un aspetto forse mai pienamente colto dagli urbanisti e architetti che si sono approcciati alla progettazione delle città dal secondo dopoguerra in poi. L’accento posto sul concetto stesso di periferia sembra rievocare l’immagine di un sistema società/città compartimentato, in cui i luoghi stessi dell’abitare definiscono le gerarchie sociali; un’idea che, consciamente o inconsciamente, si è tradotta anche in termini di pianificazione urbanistica manifestando inevitabilmente il risultato del fallimento complessivo di un sistema di sviluppo basato su presupposti errati e su modelli urbanistici e di governance del territorio inadeguati a fronteggiare la complessità e l'articolazione del processo di metamorfosi della città.
E' necessario oggi un approccio diverso alle tematiche dello sviluppo e della rivitalizzazione dei centri urbani. Uccidere il concetto stesso di periferia vuol dire quindi cambiare atteggiamento anche in termini di pianificazione, pensando la città in termini di organismo fluido, policentrico, regolato da politiche di sviluppo in grado di individuare le potenzialità creative dei luoghi, confrontandosi con il capitale sociale resiliente e introducendo un percorso condiviso in grado di generare opportunità, innovazione e coesione sociale.
Una società interconnessa e in costante evoluzione ha bisogno di un’urbanistica dinamica e creativa. Occorre definire nuovi cicli di vitalità delle periferie, intercettando flussi diversi e mantenendo una classe sociale eterogenea e dinamica, intervenendo sia sul degrado fisico e ambientale che sull’eliminazione dell’esclusione e della marginalità comune, potenziando il “capitale sociale” presente.
Io credo che operare in termini di rigenerazione urbana significhi potenziare l’attrattività dei quartieri, riqualificare gli spazi pubblici, migliorare le interconnessioni della città per rendere le periferie “luoghi dell’abitare” e non sterili contenitori, incidendo sulla qualità della vita degli abitanti e sul loro senso di appartenenza.