NULLA E' COMPIUTO, TUTTA LA VITA VA VISSUTA E RACCONTATA di Vincenzo Campo
Sto in bilico fra attualismo e passatismo, forse; non mi sento ancora un reduce –reduce di che, poi? Non della Campagna d’Africa e neppure della Guerra di Crimea, naturalmente, ma neppure delle barricate e degli scontri ideologici e anche fisici del mio sessantotto; perché per essere reduci bisogna che l’impresa alla quale s’è partecipato sia finita e la mia non è affatto finita, ho la pretesa di pensare che continui ancora e che non s’arresti; e tuttavia, non reduce, sono consapevole di non avere un futuro lontano davanti a me, ma solo prossimo e vicino.
Si pensa e si dice che il radicalismo è dei giovani e la moderazione appartiene ai maturi – che è eufemismo per non dire “anziani”, che pare brutto; e io sono abbastanza maturo, anagraficamente, per essere a pieno titolo un moderato.
Ma il tempo fisico, quello che si misura in secondi, minuti, giorni, mesi e anni secondo metri diversi che chissà perché cambiano base -ora in base sessanta, poi in base trenta e poi dodici – c’entra poco, io credo.
Salvo a non esserci fermati eterni adolescenti, noi diciamo che il tempo ci cambia e ci trasforma; che, a noi che abbiamo attraversato tante primavere, ci ha cambiati e ci ha trasformati; ma, col dire questo senza che ce ne accorgiamo facciamo una gran bella semplificazione: non è il passare del tempo che ci ha cambiati, ma quello che in questo tempo è avvenuto e il modo in cui tutto questo è avvenuto: gl’incontri che abbiamo fatto, le relazioni che abbiamo intessuto, le grazie e le disgrazie che abbiamo attraversato.
Tutto questo complica le cose, perché se il tempo in sé, quello che poco fa ho detto fisico, seppure con calcoli che per me sono un po’ complicati, si può numerare, contare, confrontare, il tempo altro, quello vero, quello delle esperienze, della maturazione, delle evoluzioni e delle involuzioni, è inafferrabile; uncountable, direbbero forse gli anglofoni.
Che è così lo capiamo tutti e non ho certo la pretesa di spiegarlo ad alcuno; voglio solo sottolinearlo, voglio solo che s’incentri un po’ l’attenzione su questo che mi pare che invece si perda di vista.
Ora, solo se si pensa che un’impresa è compiuta, che alfine, riposte le armi e con addosso i segni degli scontri affrontati, si sia definitivamente tornati alle ordinarie attitudini, si può pensare che esiste un tempo per vivere e un altro, successivo, per raccontare il vissuto; e se l’impresa della propria vita è la vita stessa, non si può e non si deve mai essere reduci perché l’impresa continua.
E mentre la vita si compie si può anche raccontarla e col raccontarla si può e si deve essere propositivi e propositivi per noi stessi e non solo per chi arrivato dopo.