AMICI, NON POSSO NON DIRMI INATTUALE di Stefano Vivacqua

Carissimi amici, sento di dovere intervenire nella discussione avviata dallo scritto di Giandomenico con poche sincere considerazioni. Il tempo della nostra ventura terrena declina. Finalmente possiamo guardare al presente, e maggiormente al futuro, con il distacco e la lucidità di chi non ha più nulla da sperare o pretendere dal suo tempo, né la velleità di migliorarlo o esserne migliore. Non si tratta di riconoscersi protagonisti del proprio tempo, o testimoni di un tempo in cui lo fummo, bensì e soltanto di capire chi o cosa siamo diventati nel frattempo, e se questo scorcio di mondo in cui ci è dato consumare il nostro commiato ci coinvolga e sospinga ad un qualche dovere di presenza, ovvero ci respinga in una deliberata e, per molti versi, spensierata assenza. Per quanto mi concerne, la mia parte in questo finale di partita è quella dello spettatore, niente di più. Spettatore inorridito, depresso, allarmato, incredulo, sdegnato, insofferente, rassegnato, e per legittima difesa sempre più indifferente e sordo.

Non ho niente da spartire con questo presente; sono un uomo del novecento, innervato di paradigmi ottocenteschi, figli delle rivoluzioni umanistica del settecento e scientifica del seicento, e per quanto orfano e assassino di tutto questo, appartengo a quella storia, a quel paesaggio umano. La mia anima è bell’e fatta così com’è, a questo secolo non lascio che il disfacimento del corpo, e i miei disgusti.

Ormai, e finalmente, il mio unico tempo e spazio vitale è la memoria, e tutto ciò che la contiene. E mi pare, sento che è così, che il passato sia di gran lunga più interessante del presente, e più ospitale dell’avvenire. E soprattutto, è l’unico binario che porta dalle mie parti, là dove mi sento a casa, dove incontro gente che parla la mia lingua e ragiona come me.

Io mi aggiro solitamente tra gli anni cinquanta e sessanta del ‘900 italiano e gli anni venti di Parigi, con qualche capatina nella Vienna d’inizio secolo, e sporadiche fughe all’indietro, qui e là per l’Europa dell’’800, in cerca di dandy, flaneur e mangiatori di oppio.

 

 

 

 

 

 

 

 

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