BARCELLONA-AGRIGENTO, DISTANTI UN SECOLO di Tano Siracusa
Non sempre l’impressione che ho avuto di un luogo, di una città, ha avuto un riscontro puntuale nelle riprese fotografiche. In posti infami, di cui ho ricordi confusi perché si tende a dimenticare ciò che non è piaciuto, ho scattato delle fotografie che potrebbero suggerire un incanto inesistente del luogo, almeno per l’esperienza che ne avevo fatto.
Di ritorno da Barcelona ho potuto invece verificare una sorprendente specularità fra il ricordo complessivo ed essenziale che conservo della città e le molte foto che ho scattato. Quel ricordo ha a che fare con il piacere di spostarmi e di vedere. Di vedere ovunque attorno a me una cifra di buon gusto: non solo le piazze, gli slarghi, le strade eleganti dei negozi, le grandi architetture storiche, le testimonianze di un passato importante innervato e non sconvolto dalla modernità, ma quel tipo di decoro urbano che può essere il prodotto soltanto di una cultura profonda e diffusa degli abitanti prima ancora che delle élites e delle istituzioni, di un senso forte dello spazio pubblico come spazio comune da curare. E poi, certo, le architetture e gli interventi urbanistici più recenti, spettacolari, azzardati a volte, ma sempre funzionali a una strategia del bel vedere. Un vedere che è ovviamente mobile.
Spostarmi soprattutto a piedi, ma anche con la metropolitana, con gli autobus, usando ascensori e scale mobili è stato un piacere strettamente legato a quello visivo. Insomma, il ricordo complessivo ed essenziale che ho di Barcelona è quello di una città che si lascia percorrere facilmente senza automobile e facilmente affidando lo spostamento a modalità e tempi diversi.
Quando ho selezionato un centinaio di scatti e li ho osservati in sequenza mi sono reso conto di avere visto e fotografato una città dove il traffico automobilistico è quasi assente, o comunque molto sullo sfondo. Barcellona, una grande città mediterranea, una capitale culturale, è anche silenziosa, e non solo nel magnifico barrio de Gracia, dove non ci sono turisti e tutto è molto semplice, funzionale, popolare ed elegante, e il traffico scorre lungo poche strade, ma anche in pieno centro, dove la gran parte dello spazio è chiuso al traffico.
Per spostarsi su un territorio molto esteso ci sono autobus, metropolitana, biciclette, pattini, piste o scale meccaniche, alternative che rendono poco conveniente l’uso dell’auto. E tutte alternative, incluso ovviamente e in primo luogo il camminare, che offrono opportunità e tempi diversi di visione, di percezione dello spazio urbano.
Barcelona appartiene a quella parte del mondo dove le forme novecentesche della modernità, fra le quali l’uso senza limiti del mezzo di trasporto privato, sono state superate e sostituite da modelli più razionali, più economici ed ecologicamente orientati. Giardini, parchi, piste ciclabili, attrezzature sportive, parcheggi sotterranei, ascensori e scale mobili per superare i dislivelli, tutto su misura dei portatori di handicap, è questo il panorama che offrono la maggior parte delle città europee, piccole e grandi.
Non in Italia, da Roma in giù. Non ad Agrigento, dove l’amministrazione di Firetto non è riuscita a chiudere al traffico neppure via Atenea e il percorso dalla chiesa di san Pietro fino alla piazza dove si affaccia la chiesa dell’Immacolata, una piccola piazza che è ‘condivisa’ da pedoni a automobili parcheggiate o alla ricerca di un improbabile posteggio.
Agrigento, anche rispetto a questo tema cruciale della mobilità, si attarda fra gli scenari del secolo passato, che soprattutto in Italia ha promosso l’uso dell’automobile come mezzo privilegiato di trasporto e segno di benessere, simbolo di status sociale.
L’amministrazione Firetto ha esordito con la presentazione di un piano della mobilità che sembrava interessante, ma del quale non c’è traccia. Un giro d’orizzonte sulla città che inquadri gli scenari legati alla qualità ambientale è sconfortante: il Parco Addolorata trasformato in una discarica, villa Bonfiglio che di sera è un pisciatoio perché intere zone sono al buio, via Atenea e il Viale della Vittoria dove spesso il traffico automobilistico rende l’aria irrespirabile. E questo in una città dove chi non possiede un’automobile e vive in centro storico o a Fontanelle non può andare di sera a san Leone in autobus semplicemente perché non ci sono più corse. Oppure deve impiegare mezza giornata per recarsi nella zona industriale con un servizio di autobus dagli orari diradati e spesso non rispettati. Una città dove non si discute dell’attivazione della linea ferroviaria fra la stazione di Porto Empedocle e quella di Agrigento, su un binario che attraversa la valle dei Templi in un paesaggio di rara bellezza. Dove a proporre di chiudere al traffico il Viale della Vittoria e piazza Vittorio Emanuele, di trasformare questa zona di ingresso alla città storica in un parco si rischia di passare per visionari acchiappanuvole o, al contrario, per ideatori di frottole buone per uno spot in campagna elettorale.
Una piccola città che ha avuto a causa di scelte urbanistiche dissennate un’estensione da grande città ed è priva di un decente sistema di trasporto pubblico, una città all’insegna della dismisura, prima verticale poi orizzontale, esemplarmente antiecologica, una città come questa avrebbe bisogno di un grande impulso verso le forme nuove della modernità, verso standard europei che non solo a Barcelona, che pure appartiene geograficamente al sud, ma anche in molte città italiane sono acquisite da tempo. Un impulso che dovrebbe venire necessariamente dal’’alto’, da chi governa la città.
L’impressione è invece che la città sprofondi sempre più a sud, in quel panorama di individualismo antistatuale, anarcoide, senza regole, dove i principali coaguli sociali sono quelli familiari, dove lo spazio pubblico, ‘comune’, è terra di nessuno se non può esserlo per scorribande personali.
‘E’ un traffico africano’ cantava Paolo Conte in una sua vecchia canzone; e pochi giorni fa uno scrittore messicano descriveva il suo stupore e il suo entusiasmo per il grande vulcano etneo e per il traffico di Catania: ‘Guidano come pazzi, diceva soddisfatto, proprio come a Città del Messico’.
Fin quando ci saranno le guerre in Medio Oriente e la minaccia islamista nel Nord Africa potremo godere di un inedito flusso turistico. Poi, quando si tornerà a viaggiare in Egitto, Turchia, Tunisia, Marocco, Siria, Libia etc., quando il sud ulteriore tornerà disponibile per il tempo libero degli occidentali, verrà il peggio per la città. Per un tedesco, un inglese, un australiano o un giapponese, Agrigento, la Sicilia, è sud, ma non lo è abbastanza: terra di confine, di ibridazioni, di meticciato culturale e di cattiva e tarda modernità. Marrakech è sotto certi aspetti più moderna di Palermo, ma è anche più profondamente sud di Palermo, è una città musulmana, araba e berbera. E anche Napoli è affascinante malgrado il suo traffico.
Siamo messi molto male se dobbiamo augurarci che continuino guerre, fame e dittature nel Mediterraneo per avere un po’ di turismo dalle nostre parti. Ma, in crisi l’industria del cemento, l’unica risorsa che si offre diffusamente ai residenti è quella del turismo. Il moltiplicarsi di B&B è un fenomeno rilevante, come l’incremento quest’anno delle presenze turistiche. Ma potendo scegliere, fra le medie arabe o andaluse dove le automobili non entrano e il centro storico di Agrigento che ne è invaso, i turisti scelgono il silenzio, i rumori di strada, quelli che si sentono a Venezia o nella medina di Essaouira.
Ci vorrebbe una politica capace di operare in un presente attardato, fuori tempo, verso un futuro che agganci la nuova modernità. Purtroppo non se ne vedono le tracce, proprio come la rivoluzione nel sistema della mobilità o il rilancio del verde pubblico annunciati da Firetto in campagna elettorale e accreditati da un assessore dal passato ambientalista come Fontana.