RAI. RIMPIANGEREMO LA LOTTIZZAZIONE? di Giovanni di Girgenti
In principio c'era la Dc (e il Vaticano). La Rai era uno strumento dichiarato di orientamento culturale e politico del popolo italiano. E tale rimase con l'ingresso dei socialisti al governo dalla metà degli anni sessanta in avanti. Non fu un blocco monolitico, ma le presenze delle culture 'altre' erano marginali e prescindibili.
Poi arrivò il secondo canale; e poi la riforma.
Le classi dirigenti di allora decisero, non so se per necessità o per lungimiranza, di articolare l'offerta televisiva in relazione alle principali culture politiche del paese, ognuna delle quali ebbe rete e Tg con cui raccontare il proprio sguardo sul paese e le sue prospettive. Venne il tempo della Rai pluralista o, se volete, della lottizzazione.
Produsse malcostume, certo, ma anche diversità; e varie forme di opposizione trovarono non solo spazi di espressione, ma anche occasione e strumenti di rovesciamento della narrazione dominante e ufficiale.
Sono gli anni del pentapartito blindato politicamente, ma perforato culturalmente e infilzato televisivamente: Grillo a Canzonissima, Minà con Blitz, Santoro con Samarcanda...
Oggi la Rai vive una condizione di sospensione, di attesa, con annunci di cambiamenti radicali.
Il nuovo ceto politico che sta guidando l' Italia vorrà cambiare la Rai, farla a sua immagine e somiglianza, strumento del suo progetto di guida e cambiamento del paese.
Ha già espresso il nuovo consiglio di amministrazione e i nuovi vertici, presidenza e direzione generale. Nel giro di poche settimane la nuova governanza ridefinirà i vertici delle Reti e dei Tg. Per farne cosa? Vedremo.
Resterà l'articolazione della guida delle reti secondo il criterio consolidato della spartizione tra maggioranza e opposizione?
L'ipotesi di affidare la Rai ad una fondazione esterna ai giochi politici avrebbe superato questa impostazione, ma è un'ipotesi fallita, direi, anzi, mai seriamente considerata.
Il rapporto di filiazione diretta tra maggioranza e vertici Rai è palese, dichiarato e previsto dalla legge. In questo contesto è prudente, è giusto chiudere la spartizione delle reti e dei Tg tra le diverse forze politiche? E' accettabile per esempio che un quinto dell'elettorato del paese, quello che si riconosce nel M5S, o quello che si riconoscerà nella nuova destra a trazione leghista, non abbia la possibilità, che invece fu data al PCI, di organizzare una narrazione del paese attraverso i canali Rai?
Non basta proclamare in astratto il valore del pluralismo a garanzia delle opposizioni: in una Rai governata da uomini direttamente espressi da una maggioranza politica è prudente, opportuno, giusto garantire spazi alle opposizioni, che significa reti e Tg. Viva la lottizzazione? Mi sembra il male minore.