VECCHIONI. OH OH CAVALLO, OH OH CAVALLO di Pepi Burgio

Della gloriosa tradizione della canzone d’autore francese, ha colto più che altro aspetti pittoreschi, caricaturali. E, quel che è peggio, su di essi ha sovrapposto una certa saccenteria meneghina, quella che non frequenta il dubbio, la problematicità. La voce, profonda e sensuale, roca ed impostata quanto basta ad assecondare il suo sconfinato narcisismo, nonché l’espressione attraverso cui la propone, fanno prevalere costantemente gli insopportabili ammiccamenti tipici di chi la sa lunga, di chi ha molto vissuto e quindi molto ha da raccontare. Ciò che in questi anni ha riservato al pubblico italiano è un’improbabile contaminazione fra la rive gauche e via Festa del perdono, con quella plumbea gravità logorroica rappresentata dal mezzocalzettume di alcuni cantautori italiani.

E tuttavia, devo riconoscere, quale responsabilità gli si può attribuire, se molti intellettuali, non solo ovviamente a Palermo, hanno eletto lui ed i suoi colleghi a maître à penser? Fino al punto di fargli tenere una lectio magistralis, nientemeno che sullo scottante e decisivo tema Mercanti di luce, narrare la bellezza tra padri e figli; fino al punto di assicurargli la presenza eccitata ed attenta di una folla enorme di studenti ed insegnanti che alle luci altissime, abbacinanti del paradiso dantesco, preferiscono quelle più morbide e rassicuranti di San Siro. Quanto a quello che ha detto, ovviamente niente o quasi da obiettare, se non, appunto, che sia stato lui a dirlo. C’è poi quell’espressione un po’ triviale, ma non starei troppo a sottilizzare. Somigliamo tutti, in fondo, a quel bottegaio che offre ciò che ha. Ma, come si suol dire, non è questo il problema. Oh oh cavallo, oh oh cavallo