PARIGI CI E' CARA di Alfonso M. Iacono
Ho inviato un sms ai miei allievi che soggiornano lì. Tutto bene? Sì, ma paura, preoccupazione, sconvolgimento. Il mio primo studente andò a Parigi con l'Erasmus molti anni fa ed è rimasto lì. Ora è professore a Reims, ma vive a Parigi. Mi ha scritto che la città sembra oggi quella del 1940, al tempo della seconda guerra mondiale. Tutta la vita sociale è sospesa, mentre domina lo stato di emergenza. Ho imparato a Parigi che la sciarpa al collo è quasi più importante del giaccone quando c'è freddo. E' lì che fui beccato senza biglietto dai controllori del metrò. E' lì che ho studiato e insegnato. Abitavo a Place Maubert e andavo a piedi in Sorbona in biblioteca e far lezione. Già allora, sto parlando di più di un decennio fa, per entrare in Sorbona bisognava esibire un tesserino, ma l'aria era ancora piuttosto tranquilla e bonaria. Nel leggendario Quartiere Latino vi stavano ancora i cordonniers, i calzolai, figure ormai in via di estinzione nelle nostre città e, tutto sommato, lì tra un kebab e un panino con le pommes frites si poteva ancora vivere con poco. Non più come negli anni '70 e '80, ma neanche come è accaduto nelle altre grandi città italiane e europee (ad eccezione di Berlino), dove le cose, a cominciare da Roma, sono cambiate. Eppure, l'ultima volta che ci sono andato ho scoperto che il piccolo teatro del Quartiere Latino, in rue Mouffetard, non c'è più. Ma il terrorismo ti ruba perfino la nostalgia di ciò che è stato e che è cambiato. Se non lo contrastiamo a viso aperto in nome della libertà di tutti e per tutti, finirà con il cambiare i modi di vita della città di Descartes, di Voltaire e di Diderot, dell'Illuminismo, dei quartieri dalle piccole strade che convivono con i grandi boulevard costruiti dal barone Housemann nel XIX secolo, quando Parigi era attraversata dai grandi movimenti e dalle grandi lotte di massa che sfociarono nella Comune. La città di Balzac, di Flaubert, di Zola. Il terrorismo finirà con il cambiare le abitudini e i modi di vita di tutt'Europa. Lo stadio, il ristorante, la sala del concerto. L'odio contro il tempo libero che è diventato tempo di morte. Con le Twin Towers di New York i terroristi dell'Isis hanno colpito il centro del commercio e degli affari, con Lo Stade de France e il Bataclan hanno voluto colpire i centri dello sport e della musica e dello spettacolo. Distruggono i monumenti, uccidono indiscriminatamente, massacrano. Hobbes diceva che è la paura a muovere la politica e a far sì che il potere venga delegato da tutti a uno solo. Non ci si deve fare vincere dalla paura, né cadere nella guerra di tutti contro tutti. Se vince la paura, vince il terrorismo. Se vince la paura si accentueranno le condizioni per un perenne stato di emergenza e lo stato di emergenza porta alla sospensione sine die della democrazia e della partecipazione. Il terrorismo italiano degli anni '70 uccise non solo uomini, ma anche ogni possibilità di manifestare liberamente. Dopo quel terrorismo, molte cose cambiarono sul piano della politica e su quello dell'autonomia e della libertà. Forme di solidarietà e di lotta sociale e politica si dissolsero. Si affievolì l'idea che insieme si poteva lottare democraticamente per difendere i propri diritti. Ma questo è un altro terrorismo. E' l'intreccio perverso tra fanatismo e spettacolarità nell'epoca della comunicazione e della globalizzazione. Una cosa non nuova ma pervenuta oggi a una potenza mai vista. Come ebbe a ricordare Immanuel Kant, Parigi è quell'Occidente che, gridando eguaglianza, fratellanza, libertà, suscitò l'entusiasmo di tutti gli altri popoli europei. Parole rivoluzionarie che val la pena difendere senza paura proprio oggi in questo giorno di lutto dove ancora una volta degli innocenti pagano un prezzo tragicamente infinito.