GIORNALISMO RIFLESSIVO OVVERO LA SAGRA DELL'OVVIETA' PREPOTENTE di Pepi Burgio

La recente triste scomparsa di un’attrice malinconica ha esaltato la già fervida fantasia di intere schiere di opinionisti, aspiranti saggisti, sedicenti storici. Che si sono cimentati in un esercizio stucchevole ed irritante, ovvero quello di utilizzare consunti, pigri schemi mentali per osservare, in maniera rigida, realtà complesse e contraddittorie. Es.: “Laura Antonelli che ci ha appena lasciato, ha segnato l’immaginario erotico di una generazione”. A parte il fatto che ci (?) aveva lasciato, per così dire, già da qualche decennio, vorrei capire attraverso quali sofisticate categorie sia possibile cogliere quanto di più intimo ed enigmatico possa esistere: l’immaginario erotico. E per giunta di un’intera generazione.

Ma, si dirà, in fondo si tratta di un innocuo sociologismo da ombrellone, perché prendersela tanto? E allora: Il sorpasso metafora della chiassosa e scomposta Italia del miracolo economico; Bob Dylan menestrello della cultura pacifista; Italia-Germania 4 a 3, rappresentativa di chissà che cosa. E via via su un piano inclinato che porta dritto allo struggente rimpianto per le mezze stagioni di una volta.

Friederich Nietzsche, quasi 150 anni fa: “Il giornalismo crede di adempiere al suo compito e lo esegue nel modo che si attaglia alla sua natura, vale a dire – come dice il suo nome – alla stregua di un lavoro di giornata”. Mi accorgo però che, al di là delle mie intenzioni, sto riconoscendo al lavoro del giornalista una funzione nobile, in un certo senso una valenza tragica: “salda e affidabile quanto suol esserlo per l’appunto la carta del giornale”, direbbe ancora quello di prima. Intendo piuttosto riferirmi alla tendenza, da tempo invalsa presso alcuni settori del cosiddetto ceto medio riflessivo, di considerarsi interni alla Storia, anzi di essere essi stessi la Storia; e di ricostruirne con grande disinvoltura gli avvenimenti che ne costituirebbero le tappe identitarie, condivise, ovviamente. E allora vai col mantra: la nostra Costituzione è la migliore del mondo; l’importante è esserci; occorre metterci la faccia; bisogna mettersi in gioco; la democrazia è partecipazione o, a seconda delle stagioni politiche, in serio pericolo; il liberismo selvaggio ha inferto un duro colpo a nonsocchè, etc., etc., etc.. Certo non è soltanto una tendenza degli ultimi anni, segnati dall’ esplosione della cosiddetta cultura telematica. Già nel marzo del ’75, a pochi mesi dalla tragedia dell’Idroscalo, nelle sue Lettere luterane Pasolini scriveva: “La maggioranza degli intellettuali laici e democratici italiani si danno grandi arie perché si sentono virilmente dentro la storia”. A questa maggioranza insopportabile, ciarliera, espressione di quel nuovo ceto medio definito da Pier Giorgio Bellocchio “molto peggiore della piccola borghesia degli anni ’40-’50”, andrebbe ricordato che il loro arbitrario tentativo di assemblaggio di pezzi sfusi di cronaca nazionale, è soltanto un atto, certo vincente, di prepotenza, per giunta contrabbandato per libera informazione.

Pochi giorni dopo la scomparsa di Laura Antonelli, un’altra donna di cinema se n’è andata: Magalì Noel, la Gradisca di Amarcord, il cui indimenticabile sontuoso incedere bascullante non ha raccolto l’attenzione che avrebbe meritato. Ma forse è meglio così. D'altronde le teste d’uovo dell’informazione, e in genere dell’industria culturale, in questi giorni sono stati comprensibilmente distratti, perché impegnati nella preparazione delle valige per le imminenti partenze verso le tante versiliane che allieteranno le afose serate delle principali località rivierasche dello stivale.

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