FIRETTO SINDACO. AGRIGENTO, SI CAMBIA? di Giovanni Taglialavoro
Tra le buche e la visione ha vinto la visione. Tra il parlare sgrammaticato e quello forbito, ha vinto il forbito. Dopo decenni di sindaci espressione del piccola borghesia arruffona, si propone alla guida di Agrigento un borghese colto attorniato da borghesi colti. Risolti i problemi di Agrigento? Neanche per sogno! E tuttavia possiamo sperare, date le premesse, che almeno non si ripeta al prossimo convegno pirandelliano che il nostro sindaco, portando i saluti della città agli studenti, evochi “i De Felice e i Giuffrida, i Garbaldi e i Bosco” tra il generale e imbarazzato sarcasmo dei convenuti (trattasi dei dirigenti dei Fasci Giuseppe De Felice Giuffrida e Rosario Garibaldi Bosco raddoppiati in un memorabile intervento sindacale negli anni ottanta).
Dirà qualcuno che non è decisivo un tale traguardo: lo riconosco, ma almeno ci risparmia il disonore.
E certo se si vuole essere più pertinenti diremo allora che Il modello di governo che Agrigento ha conosciuto si può riassumere in questo modo: alcune imprese, alcuni studi professionali insieme ai politici di primo livello, i parlamentari, definiscono ambito e porzioni da dividere del bottino pubblico. Di qui si partiva, non dai bisogni o dai diritti. I sindaci, laddove non erano proiezione impoverita dei politici del primo livello, loro retroguardie, cercavano di intercettare qualcosa per loro e per le loro tribù. Cercavano l’affare e nei ritagli di tempo si occupavano dei servizi. I più dinamici puntavano a scalare qualche poltrona del primo livello ( ci provò Angelo Scifo senza successo, Angelo Errore e Calogero Sodano con successo, Marco Zambuto con gli esiti che conosciamo).
Adesso qualcosa di nuovo lo abbiamo avvertito. Già il fatto che un deputato Lillo Firetto abbia voluto ‘retrocedere’ a sindaco se non altro ci avverte di una novità; poi i politici di primo livello, pur presenti, non hanno svolto il tradizionale ruolo di ‘pupari’, ma quello di comparse nella candidatura Firetto; e in ultimo il nuovo sindaco si è circondato di persone che da decenni sono all’opposizione culturale di questa città promuovendole a protagonisti mutuandone il linguaggio e le tematiche certamente in una cornice di mediazione con le altre anime più tradizionali della città.
Chi eserciterà l’egemonia politico-culturale in questo blocco firettiano?
E’ molto difficile fare previsioni, ci sono tante variabili in campo.
Il nuovo sindaco mi sembra molto motivato: nel suo discorso a caldo dopo la proclamazione della vittoria ha detto che “andrà avanti col suo progetto costi quel che costi” che certo non ci ha svelato i temi o la direzione ma solo un proposito di fermezza che però è la premessa di ogni ipotesi di cambiamento.
L’unica cosa che mi sento di dire è questa: mantenga alte le aspettative, punti a esigenti progetti di trasformazione della città attraverso la messa in valore dell’esistente, non si lasci irretire dal falso realismo della politiche delle buche da colmare, perché il semplice ad Agrigento, in questa Agrigento, non precede ma segue il complesso, e l’unica forma di realismo è quella di puntare all’impossibile.
Resta poi insoluto un piccolo problema, ossia la collocazione politica di questa giunta.
Cosa vorrà fare da grande Firetto? Poiché la nostra Agrigento non è una repubblica autonoma chi ne occupa la rappresentanza locale non può estraniarsi alle dinamiche politiche regionali e nazionali. Anche qui nel passato abbiamo qualche modello: usare palazzo san Domenico per annusare e pesare la forza di questo o quello per cercare di seguirne il tragitto aspettando finanziamenti o riconoscimenti istituzionali. E’ una strada battuta da quasi tutti i predecessori di Firetto.
C’è un’altra via? Sì, partendo dalla consapevolezza del carattere liquido e sfuggente dell’attuale quadro politico, ci si può proporre, insieme ad altri sindaci siciliani, come forza costituente di un nuova aggregazione politica che ponga a fondamento l’orizzonte spirituale di papa Francesco e del nostro vescovo Montenegro e che nella ridefinizione del nuovo rapporto tra il nord e il sud del mondo inserisca l’esigenza di un nuovo patto nazionale che freni la deriva meridionale attraverso nuove politiche locali di risanamento etico e ambientale e un massiccio impegno di spesa pubblica finalizzata non alle grandi opere, ma alle tante piccole e medieche possano rendere reale i diritti di cittadinanza sempre più aleatori. Vaste programme? Oui