AGRIGENTO. SCOMMESSA SU FIRETTO E I MOVIMENTI di Giovanni Taglialavoro

Cosa sta rivelando Agrigento nelle convulsioni politiche di questi ultimi giorni se non una delle ragioni, la principale direi, della sua catastrofica situazione? La qualità autentica del suo ceto politico. L'epifania della sua conclamata impresentabilità. Al cardinale Montenegro sono basate poche battute durante l'omelia conclusiva della processione del venerdì santo per fotografarla: “ (Ad Agrigento) ci si sente strozzati da una politica della quale si stenta a percepire il suo interesse per il bene di tutti: immobilista su problemi di vecchia data, è capace di correre veloce quando deve occuparsi di interessi di parte;... Agrigento ha il primato di occupare, da tempo, gli ultimi posti delle classifiche nazionali per la qualità della vita mentre pare riesca ad ottenere un primato in un altro campo: è, cioè, una città senza governosbaglio a dire così?, visto che nelle tante sedi e organismi istituzionali ci sono commissari straordinari a reggerla. A quanto pare siamo arrivati al numero di sette o otto.

Dunque il nostro è un ceto politico che genera crisi, la cui 'cultura' è quella della spregiudicatezza nell'uso parassitario e tribale delle risorse e degli spazi pubblici, una cultura ferma a quando ancora non si parlava di crisi fiscale dello stato e la politica a debito appariva così naturale da risultare l'unica possibile.

E quando con la deflagrazione della crisi si trattava di capire su quali basi nuove provare a mantenere la città nella contemporaneità dei consumi dentro processi di sviluppo autocentrati ecco che quel ceto politico perde la bussola e allora o ha vergogna di sé, prova a nascondersi, a inabissarsi, sperando di agganciarsi a chi ha provato nuovi sentieri amministrativi, o tenta un impossibile nuovo ruolo attraverso compattamenti di interessi ma così innaturali da sciogliersi alle prime avvisaglie di indignazione. Nei due casi, o in negativo, per quello che non si riesce a proporre o in positivo per il groviglio delle proposte impresentabili, il ceto politico finalmente appare per quello che è, e forse è sempre stato negli ultimi decenni nel sud: un freno alla diffusione dei diritti di cittadinanza, un ostacolo allo sviluppo autonomo, una gabbia di egoismi incomponibili, insomma per dirla con Giordano Bruno 'lo spaccio delle bestie trionfanti'.

Nel frattempo, e in parallelo alle convulsioni agoniche di questo ceto politico, Agrigento conosceva le gioie di nuovi cominciamenti: movimenti di volontariato sociale, nuove forme di civismo, associazionismo culturale compenetrato al respiro sociale e alle miserie urbane, davano concreti esempi di come fosse possibile un'altra città, di come ci fossero le risorse di intelligenza, di creatività e di aggregazione per ripartire, recuperando un'altra idea di sviluppo e di urbanità dove prevaleva la scoperta delle radici, delle qualità comunitarie, del bello nascosto e conculcato.

Era possibile che da queste nuove energie scaturisse direttamente una nuova leadership amministrativa? Era possibile dare sbocco immediato di governo 'tout court' a questi giovani rigeneratori di vita urbana senza la mediazione del ceto politico ?

C'ho creduto e l'ho sostenuto anche pubblicamente.

Ma anche in quella parte più avvertita della città che non aveva praticato complicità col malgoverno o che se n'era allontanata da tempo si sono manifestate ambizioni (legittime), voglia di primazie, debolezze inclusive che alla fine hanno fatto emergere, come possibile e desiderabile, un accordo con le ambizioni dell'on. Firetto, il quale, rovesciando il tragitto tradizionale delle carriere politiche locali, annuncia di voler lasciare la carica di parlamentare per mettersi sulle spalle la croce della catastrofe agrigentina. Si presenta come desideroso di discontinuità, denuncia le nefandezze degli amministratori che lo hanno preceduto ad Agrigento, si rapporta con i movimenti e con il nuovo associazionismo, promette ruoli di primissimo piano e attinge alle loro elaborazioni, usa il loro linguaggio, sembra come il primo Leoluca Orlando: uno che, pur venendo dalle stanze del potere e pur avendo frequentato il ceto politico responsabile dei nostri disastri, se ne vuole allontanare aprendo alla società civile e a nuovi soggetti sempre tenuti ai margini del potere locale.

Il Pd,sempre minoritario ad Agrigento, poteva scommettere su Firetto ed era pronto a farlo, ma poneva come condizione che Firetto rinunciasse alla sua autonomia e si accodasse attorno ad un tavolo affollatissimo e traballante.

Sembra invece che l'incontro tra il politico e i movimenti stia funzionando almeno in termini di consenso. Si tratta di vedere se funzionerà anche in termini di cambiamento, necessario, della città. Adesso il nemico del progetto Firetto sembra, paradossalmente, l'eccessivo consenso, bussano alla sua porta molte facce e storie che andrebbero consegnate agli archivi. 'Alle mie condizioni sono tutti ben accetti', sostiene Firetto. Esopo scrive: “Uno scorpione chiede a una rana di lasciarlo salire sulla schiena e di trasportarlo dall'altra sponda di un fiume. La rana temendo di essere punta durante il viaggio si rifiuta; tuttavia lo scorpione sostiene che anche lui cadrebbe nel fiume e non sapendo nuotare morirebbe insieme alla rana. Così la rana accetta e inizia a trasportarlo ma a metà strada lo scorpione effettivamente punge la rana condannando a morte entrambi. Quando la rana sente la puntura dello scorpione chiede il perché del suo gesto e lo scorpione risponde: "È la mia natura".”           Fabula de te narratur

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