AGRIGENTO. MA CHI L'HA RIDOTTA COSI'? di Giovanni Taglialavoro

Una città allo stremo, collassata. Una città piagata dalla corruzione e dal mal governo. Una città collocata all'ultimo posto nelle graduatorie sulla qualità della vita e ai primi posti per tassi di disoccupazione giovanile. Una città con una cattedrale millenaria chiusa e in bilico. Una città però in cui si è fatta sentire forte e chiara la voce della nuova chiesa di Francesco attraverso le testimonianze dell'arcivescovo Montenegro, del settimanale della diocesi e dove il nuovo protagonismo giovanile e civico ha prodotto esperienze quali Vallicaldi, Agrigento Punto e a Capo, e i Volontari di strada.

Ebbene in questo contesto un partito come il Pd che, tranne gli ultimi mesi di vita amministrativa di Zambuto, non ha mai avuto significative responsabilità del degrado e che anzi ne ha fatto oggetto costante di denuncia che ti fa? Invece di mettersi al servizio di questo nuovo protagonismo e dare ad esso uno sbocco politico di governo, invoca un patto di coalizione con tutti i partiti esistenti, tranne il M5S, per concordare con essi la scelta del candidato sindaco.

Una democrazia esiste solo se gli elettori vengono messi nelle condizioni di giudicare chi ha amministrato: cosa succederebbe agli elettori se vedessero tutti i partiti coalizzati tra loro e uniti nell'appoggiare un candidato sindaco scelto da loro? Chi ha portato la città al punto in cui ci troviamo? Il destino cinico e baro?

Una oligarchia, quella del ceto politico, si mette d'accordo e seleziona 3 o 4 candidati per le primarie. Pochi elettori, peraltro non controllati da organi pubblici ma dai partiti stessi, decidono il candidato e quello dovrà essere l'eletto. E dove sono i confronti tra i candidati? Dove sono le individuazioni delle responsabilità rispetto al passato? Ma anche sorvolando su questi aspetti che mi sembrano già decisivi, come potrebbe un sindaco scelto in questo modo operare quella rottura che tutti ritengono necessaria per cambiare la città?

Il Pd si fermi fino a che è in tempo. Non mischi le sue responsabilità a quelle di chi ha avuto in mano le sorti della città, abbandoni un malinteso patriottismo di partito e faccia valere l'amore verso Agrigento rispetto all'ardore delle carriere di alcuni propri affiliati, si metta al servizio del cambiamento, avrebbe forse qualche assessorato in meno nell'immediato, ma guadagnerebbe il merito immenso di avere consentito alla città quel cambiamento radicale di uomini e idee che da anni ha vagheggiato coltivando con le minoranze tenaci, col Pasolini e coi movimenti, testimonianze di diversità che oggi debbono diventare governo

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