PIRANDELLO E GIRGENTI O DELL'USO CONSOLATORIO DEL PARADOSSO di Giovanni Taglialavoro
Una serata a riflettere sull’eredità Pirandello e la sua città, sul dare e l’avere tra il Nobel e Agrigento. La chiusura delle manifestazioni celebrative degli 80 anni dall’assegnazione del premio ha avuto il teatro comunale come cornice e Agrigento tra memoria e identità come tema, coordinato da Paola Pitagora e animato da Sebastiano Lo Monaco, Vincenzo Pirrotta, Alfonso Maurizio Iacono e Salvatore Ferlita.
E’ davvero chiassosa la presenza di Girgenti tra le pagine dell’opera pirandelliana soprattutto se si pensa ai pochi anni in cui lo scrittore vi è rimasto. E non parlerei dei soliti luoghi comuni della città paradossale, sfuggente, attorcigliata, come i suoi antichi ulivi, nei percorsi mentali dei suoi abitanti.
L’impronta indelebile forse è un’altra e la suggerisce indirettamente lo stesso scrittore in un passaggio del discorso da lui pronunciato al banchetto in suo onore nella casa comunale di Stoccolma la sera del 10 dicembre del 1934 laddove dice che la sua mente è“attenta, concentrata, paziente, inizialmente del tutto simile a quella di un bambino. Uno scolaro docile, se non con gli insegnanti, di sicuro con la vita, uno scolaro che non verrebbe mai meno alla sua totale fede e fiducia in ciò che ha imparato. Questa fede nasce dalla semplicità di fondo della mia natura. Sentivo il bisogno di credere all'apparenza della vita senza alcuna riserva o dubbio.”
L’adesione innocente all’immediatezza della vita, alle forme della sua apparenza misura e motiva l’amarezza del disincanto indotto dalla acquisita consapevolezza dell’inganno e della falsità che nutrono la vita sociale.
Il relativismo pirandelliano non è l’abbandono felice e liberatorio o se si vuole nichilista di ogni riferimento sovraindividuale, ma lo smascheramento della pretesa universale delle apparenze in nome di un ancoraggio più stabile meno aleatorio e i miti finali ( La Nuova Colonia, I Giganti della Montagna) ne rappresenterebbero un possibile percorso acquisitivo.
In questa lettura Girgenti coincide con l’insegnamento della madre Caterina la cui figura non a caso giganteggia nel romanzo I Vecchi e i Giovani come irriducibile testimone di valori innegoziabili da vivere con assoluta coerenza fino alla rinuncia di ogni possibile vantaggio personale e sociale.
Quest’anima girgentana viene sistematicamente rimossa nella ‘vulgata’ a favore di quella più comoda e autoassolutoria dell’uno, nessuno centomila.
Oggi davanti ad una città in profondo declino e in condizione preagonica non sarebbe male appellarsi a idee forti per un possibile rilancio. Le furbizie relativistiche, che definiscono la politica come quel luogo dove far torti o subirli, vanno denunciate per quello che sono: una componente essenziale del declino se non proprio la sua causa.