VALLICALDI UN ANNO DOPO. E' ANCORA UN LABORATORIO DI SPERANZE? di Tano Siracusa
Preso atto dello scetticismo e dell’irrisione con cui gli amici avevano neutralizzato la questione, l’ho posta ad uno psichiatra, anche lui mio vecchio amico, che lavora a Genova: uno che si candida a sindaco di Agrigento, perché lo fa?
La città attraversa un fase di declino che appare inarrestabile, soldi non ce ne sono, una casa, un palazzo, possono crollare da un momento all’altro e il sindaco trovarsi nei guai, per non parlare delle infinite contese, trappole, inimicizie che si creerebbe se volesse davvero bonificare la macchina amministrativa. Perché si candida? La risposta più nobile che riesco ad immaginare potrebbe essere: perché crede di essere il miglior sindaco possibile della città e desidera che la maggioranza dei suoi concittadini gli permetta di dimostrarlo.
In un precedente articolo ipotizzavo che fosse questa la ragione per cui La Pira, uomo in odore si santità, aveva deciso di fare il sindaco. Ed era la Firenze di quegli anni, non Agrigento di oggi. Ma di nuovi La Pira in giro non se ne vedono, almeno dalle nostre parti, e se ci sono se ne stanno ben nascosti.
E qui la domanda, tecnica: ma uno che pensa davvero di essere il miglior sindaco possibile della sua città (e non è almeno un mezzo santo, uno che mette in conto guai e disonore personali pur di realizzare il bene comune) non soffre di un disturbo della personalità di tipo narcisistico?
La risposta è stata affermativa. Ho commentato: se non lo fai per per una pulsione abnorme di altruismo lo fai per una abnormità compulsiva di tipo narcisistico. L’amico psichiatra ha annuito.
Si potrebbe obiettare che sono discorsi da prete, o appunto da psicoterapeuti, e che in politica non importa perché si agisce ma come si agisce, cosa si fa.
L’ho pensato per molto tempo, è stata la mia maniera di sentirmi leninista, la ragione del mio indugiare molto su Machiavelli quando insegnavo. Adesso non ne sono affatto così sicuro.
Forse perché i contesti storici cambiano, si erodono le tradizionali forme di democrazia, e di Principi mediatici, decisionisti, esibizionisti, chiaccchieroni, a volte veri e propri delinquenti, a volte solo perdutamente innamorati del proprio io, qualcuno del tutto fuori di testa, ne abbiamo visti tanti in questi anni, ad Agrigento come a Roma, e la nobiltà del fine non era mai tale da giustificare la fantasiosa disinvoltura dei mezzi, le orge mediatiche, il loro frastornante blabla.
C’è un’ area di opinione in città che non so quantificare, probabilmente minoritaria, che potrebbe sostenere nelle urne una candidatura a sindaco di netta discontinuità. C’è un’idea diversa di città, una discussione e una elaborazione decennali su un modello di città diverso, fondato sul recupero del centro storico, sulla riqualificazione delle periferie, su un piano della mobiltà che restituisca il centro agli studenti, al piccolo commercio, ma anche al gusto del passeggiare, del verde pubblico, del silenzio o della buona musica, dell’intrattenimento culturale, di occasioni e contesti per un consumo non consumistico del tempo libero. C’è stata anche qualche esperienza in questo senso, la più visibile quella di Vallicaldi la scorsa estate. C’è un’ area, c’è la base culturale per un programma, delle esperienze, una realtà associativa vivace, manca il gruppo e manca un leader, uno disposto a sacrificarsi, a rischiare perfino di essere eletto.
Un anno fa era diverso, c’era un altro scenario, molto meno diviso a sinistra, nell’area del cambiamento. C’era una specie di laboratorio: con troppe televisioni e troppi politici di professione in giro forse, qualche ficcanaso, ma a Vallicaldi c’era un gruppo e quello che sembrava il possibile inizio di un movimento. Un laboratorio dove l’esperienza manuale, artigianale, artistica, progettuale, si intrecciava inevitabilmente con la discussione sulla città, sul centro storico, su cosa farne. Allora si parlava del progetto Terravecchia. Oggi non si parla di quello su Ravanusella, che sembra peraltro interessante. Durante l’intera estate gli spazi di Vallicaldi non sono stati utilizzati, se non per due serate a fine luglio e ora a fine agosto. Di quel laboratorio rimangono pezzi sparsi.
A mio parere a un anno di distanza più che festeggiare Vallicaldi ci si sarebbe dovuti interrogare seriamente sulle ragioni del suo mancato funzionamento.
Non è la prima e non sarà l’ultima volta che in città si logorano e si consumano esperienze di aggregazione, gruppi, movimenti. Il guaio è che in tutto questo si macinano risorse umane, disponibiltà, competenze, intelligenze, rapporti personali, si buttano via perché ‘il fine’ lo impone.
Ma il machiavellismo è un arnese troppo sofisticato o troppo grossolano per i politici o aspiranti sindaco, e un arnese probabilmente perverso di suo.